Un tunnel verso la luce

"Senza alcuna paura e con molta calma, nonostante continuassero a cercarmi, mi presentai dopo 2 settimane al CSPO e in quel momento la mia vita subì un’accelerazione inaudita" di Raffaella Sabino

Oggi, venerdi 25/05/07, sono in servizio di volontariato nella sede di Donna Come Prima e ho avuto occasione di parlare del bando “Premio Letterario Le donne si raccontano” indetto dalla nostra associazione.

Non abbiamo fatto grande pubblicità allo stesso, è una nostra lacuna e ora cercheremo di rimediare: allora, visto che la scadenza è molto vicina (prima scadenza 31/7) ho pensato di cimentarmi personalmente in una specie di racconto-diario-lettera, perchè la collega volontaria che ha avuto l’idea di attuarlo e che si sta adoperando al massimo, possa avere una “rosa” di lavori da sottoporre alla Commissione Giudicatrice. Parlare di testimonianza e/o emozioni in relazione a percorsi di malattia oncologica nel mio caso è veramente aprire una porta stagno (si, quella della stiva di una nave) è un fiume in piena che potrebbe essere difficile arginare senza commuovermi troppo. I ricordi, le sensazioni, potrebbero sopraffarmi e impedirmi di continuare a scrivere ma devo farmi forza perchè voglio concorrere al premio, ormai ho dato la mia parola.

Da dove cominciare? Dalla malattia di mio padre, da quella di mia madre o la mia? Forse è giusto dalle ultime due, perchè sono avvenute quasi in parallelo, stranamente… mia madre aveva 21 anni più di me, era bella, giovane, sembrava mia sorella, spero almeno la maggiore ripetevo sempre a chi ce lo diceva. Appena il medico di famiglia mi telefonò in ufficio per dirmi che aveva visitato mia madre e che subito dovevo portarla al CSPO, sentii una stretta acutissima allo stomaco: non potevo immaginare, nemmeno nelle più nere previsioni quello che ci sarebbe capitato. La diagnosi prevedeva l’operazione subito: era carcinoma infiltrante. I medici di Careggi e l’oncologa (alla quale va la mia più profonda riconoscenza) faticarono non poco per convincere mia madre che non era la forma di “mastite” che lei credeva di avere sin dalla nascita di mio fratello e del suo allattamento al seno (meno male, non il mio, che sono la maggiore) e che doveva subire l’asportazione totale (dx). Mia madre pur non dimostrandoli assolutamente, aveva 78 anni e non aveva mai partecipato né a screening né aveva mai fatto mammografie; ai suoi tempi non era previsto, né nella mentalità comune delle donne fare prevenzione come è ora grazie all’attenzione richiamata sulla materia da tutti gli operatori del settore e non.

Io invece, solo una generazione dopo, avevo iniziato presto a fare prevenzione.

Già a 35 anni (e anch’io come mia madre ne dimostravo circa dieci meno) avevo fatto la prima mammografia ed ero entrata nel programma previsto negli anni ‘80 per la patologia. A novembre ‘99, quindi, ero stata chiamata per la consueta mammografia biennale, mia madre era già stata operata il 26 marzo dello stesso anno. Quando ai primi di dicembre mi richiamarono dal CSPO per approfondimento urgente ero fuori Firenze e sottovalutai la cosa. Già, due anni prima, era accaduto e mi ero spaventata inutilmente.

Senza alcuna paura e con molta calma, nonostante continuassero a cercarmi, mi presentai dopo 2 settimane al CSPO e in quel momento la mia vita subì un’accelerazione inaudita: non accettavo l’idea che fosse successo anche a me, criticavo Dio, che non aveva saputo esentarmi da questo dramma salvando una delle due, mi rammaricavo perchè ciò che mi accadeva avrebbe potuto sconvolgere la faticosa tranquillità nella quale avevo avvolto mia madre.

Sono stata operata il 28/12/99 e per non spaventare mia madre che era ancora scossa dalla sua menomazione fisica (aveva avuto un bellissimo seno!) e psicologica, le dissi che ero necessaria, saltuariamente, ancora in ufficio mentre ero in prepensionamento già 5 gg dopo la sua operazione: era una promessa che avevo fatto a me stessa qualora fosse accaduto ancora, perchè non avevo potuto stare vicino a mio padre durante i 2 anni della sua malattia quelli intercorsi per la diagnosi infausta e la sua morte nel 1988.

Non posso proprio ricordare, senza commuovermi, quanto mio padre avesse voglia di vivere, aveva poco più di 70 anni e voleva godersi il meritato riposo dopo 40 anni di ininterrotto lavoro.

Della mia malattia non ho avuto coscienza, se non dopo la morte di mia madre nel 2004. Ero molto concentrata su di lei perchè richiedeva la mia presenza cosante, il mio affetto, temendo di essere lasciata sola come da mio fratello che aveva seguito la sua inclinazione di lavorare all’estero dopo la laurea.

I 5 anni trascorsi durante la malattia i mia madre sono stati abbastanza sereni per lei che dopo qualche tempo si era ripresa e non aveva dolori. Io la portavo in macchina dappertutto: a fare colazione nelle più belle pasticcerie di Firenze e Montecatini, al mercatino a comprare le verdure che tanto amava, in campagna e nella sua casa nel Sud dove appena arrivava cominciava a cantare. Era allegra mia madre, le piaceva parlare tanto con me, leggere romanzi d’amore, vedere film dove i protagonisti erano re e regine.

Per me la serenità era durata un anno meno perchè nel 2003, dopo una radiografia di controllo si erano scoperte metastasi ai polmoni (e poi al fegato). Ho cercato con l’aiuto dell’oncologa di farle capire che era necessario fare cure, accertamenti; lei per un po’ mi ha seguita poi non ha voluto più fare niente.

Ho trascorso gli ultimi 10 mesi della sua vita in simbiosi con lei, non voleva che la lasciassi un attimo, ho sofferto molto nel vederla che si spegneva ogni giorno di più, ma ora sono abbastanza contenta perchè lei ripeteva sempre che aveva avuto una buona vita, spero anche per la mia presenza.

Da 3 anni, con tanti impegni per sistemare cose di famiglia, sto cercando di ricrearmi interessi che avevo quando lavoravo e che non potevo seguire per mancanza di tempo.

Continuano i controlli richiesti: sto bene, faccio volontariato anche presso la Misericordia di Firenze, sto riprendendo i viaggi all’estero che facevo durante le ferie e il prossimo anno rientrerà in Italia mio fratello con la sua ultima figlia, una bellissima bambina di 10 anni, la porterò a visitare tutte le cose belle di questa città, dove non sono nata ma che amo profondamente per le sue bellezze artistiche, per la sua civile umanità e dove ho conosciuto le belle persone che sono le volontarie di questa utilissima associazione chiamata Donna Come Prima e grazie alle mie esperienze dolorose ma formanti e al loro aiuto mi sento: “donna più di prima”.