Quel fazzoletto di cielo stellato
"Quello era tutto il suo mondo e già a poche centinaia di metri di altezza, non si riusciva più a vederlo. Cosa poteva chiedere lei al cielo? Che le desse la forza di combattere questa nuova sfida, ma si sentiva troppo piccola e non era sicura che sarebbe stata ascoltata la sua preghiera..." di Giuliana Bongianni
Quel fazzoletto di cielo stellato quella sera non le dava il solito senso di infinita pace e grandezza che con la sua bellezza la consolava sempre delle difficoltà della giornata.
La invitava invece a sciogliere quel dispiacere e dare sfogo alle lacrime che in silenzio, in perfetta solitudine, potevano inondarle il viso senza nessun freno o vergogna.
Il telefono, solito portatore di brutte notizie, aveva suonato di nuovo e portato un nuovo scossone alla sua vita. Aveva risposto col sorriso già pronto per accogliere con piacere chi chiamava.
Poteva essere una cliente o un’amica...
Era invece la sua dottoressa che, con strane manovre e grazie ad amicizie, era riuscita a venire in possesso del risultato della biopsia al seno, che tardava troppo ad arrivare.
Aveva dovuto ricorrere a questo per averlo perché il risultato era rimasto chiuso nel cassetto del medico che lo aveva eseguito, partito per le vacanze.
“Lasciate tutto così” aveva detto, “Ci penso io ad avvertire la signora al mio rientro”.
Già, perché la “signora” era lei ed aveva un cancro al seno!
E fra partire tranquillo o adoperarsi un po’ per informarla, aveva optato per la prima.
Aveva ricevuto la notizia come un colpo allo stomaco, e anche con tutta la delicatezza e sicurezza che la dottoressa aveva usato per fargliela sembrare meno tragica possibile, anche con tutte le parole incoraggianti per affrontare questo percorso, le sue gambe tremavano e quasi senza fiato, aveva chiesto “E ora?”
Appena ripresa, si era guardata attorno... aveva deciso subito a quante persone care non lo avrebbe detto.
Ai suoi genitori no, troppo vecchi e malati, ai suoi figli no, troppo fragili e provati da lutti che, anche se passati da anni, erano e sarebbero rimasti recenti e dolorosi per sempre.
Valentina poi, una sua amica aveva perso la mamma da poco per un tumore al seno, non avrebbe potuto tranquillizzarla dicendole che sarebbe andato tutto bene…
Doveva farsi bastare l’aiuto di suo marito e raccattare in fretta tutte le forze.
Le lacrime le bagnavano il viso mentre, quasi sdraiata sulla sua chaise longue del giardino, guardava il cielo, il suo fazzoletto di cielo stellato.
Avevano da pochi giorni messo a posto il grande ombrello in giardino: chiamarlo giardino era esagerato in realtà, era un cortiletto, poco più di un fazzoletto, appunto.
Era l’apertura dell’ombrello e il relativo metterlo a posto per l’inverno, che segnavano le stagioni, non il calendario.
Con quanta gioia e impazienza aspettava questa operazione, che avvertiva dell’arrivo dell’estate imminente, con le sue sere a volare con la fantasia sotto il suo fazzoletto di cielo.
Quando, passata l’estate, cominciava a piovere, suo marito diventava impaziente, lo voleva riporre presto perché non si sciupasse…
Lei cercava di ritardare in ogni modo: “Ho visto le previsioni, sarà sereno per tutta la settimana”.
Cercava di posticipare più possibile quasi che ritardando la chiusura dell’ombrello, avesse la capacità di prolungare il bel tempo.
Finché c’era l’ombrello in giardino, si poteva sperare che facesse caldo. Dopo, quando era stato riposto, non c’era più spazio per la speranza: l’estate era definitivamente ed ufficialmente finita.
Continuava a piangere guardando il cielo e sperando che il cielo guardasse lei.
Lei, era solo un puntino, in un quadratino poco più grande. Quando, partendo con l’aereo, sorvolando il suo paese, aveva cercato con gli occhi, non era mai riuscita ad individuare il suo giardino.
Quello era tutto il suo mondo e già a poche centinaia di metri di altezza, non si riusciva più a vederlo. Cosa poteva chiedere lei al cielo?
Che le desse la forza di combattere questa nuova sfida, ma si sentiva troppo piccola e non era sicura che sarebbe stata ascoltata la sua preghiera.
Neppure questa consolazione le restava. Chiedersi:”Perché proprio a me?”. Neppure questo conforto poteva consentirsi. Ricordava bene il suo patto con Dio: ”La mia vita perché mio figlio si svegli e torni a sorridermi”, quando fuori dalla rianimazione, aspettava che passassero le 72 ore che avrebbero deciso per la sua, per le loro vite.
Erano state ascoltate le sue preghiere e suo figlio si era svegliato dal coma e, ridendo, in pochi minuti aveva raccontato come era stato bene. Si sentiva perso, raccontava, aveva paura, sapeva che stava morendo e allora, aveva pensato “Almeno incontrassi il nonno!”.
Il nonno morto alcuni anni prima, gli era venuto incontro, avevano passato insieme tutta la notte a ridere e scherzare su come erano bellocce le infermiere. Aveva trattato a lungo con Dio, offrendo in cambio la sua vita e la sua sofferenza purché suo figlio ce la facesse. Lo scambio era stato accettato, ne era certa, e lei non se ne sarebbe mai dimenticata.
Mai, neppure per un attimo avrebbe pensato di tornare indietro, perciò non poteva neppure permettersi di lamentarsi troppo.
Non voleva correre il rischio che i suoi lamenti sembrassero un pentimento. Non poteva essere sincera neppure con se stessa. Doveva stare attenta e controllare bene anche i suoi pensieri.
Non voleva incolpare troppo il destino che, da tanti anni, tirava sempre su la sua carta.
Non doveva chiedere che la vita alla fine, le mescolasse ogni tanto quelle carte. Del resto non lamentarsi troppo le veniva naturale, era una vita che prima di rispondere o scegliere, si chiedeva cosa i suoi cari avrebbero preferito.
Loro certo avrebbero preferita sana ed efficiente, ma loro non sapevano del suo patto con Dio.
E non voleva piangere troppo, non voleva rischiare di essere fraintesa, sembrare stanca e che volesse evitare il conto da pagare che le veniva presentato.
Certo il suo Dio non aveva bisogno di spiegazioni, sapeva che anche questa prova le costava molto, ma non si sarebbe disperata troppo, non si sarebbe tirata indietro. Come sempre avrebbe accettato quello che era stato deciso per lei. Non c’erano spiegazioni da dare, il Cielo avrebbe letto tutto questo direttamente dal suo cuore.
Perciò non poteva piangersi troppo addosso, doveva fare in fretta a ritrovare le sue energie e prendere le anni per combattere.
Quando la sera cercava un po’ di solitudine e silenzio anche dentro di sé, si era resa conto che la sua vita era tutta protesa al domani, prossimo o lontano, ma futuro. Non era capace di pensare a niente senza programmare per il futuro, dalle scadenze delle spese, al cambio dei vestiti più o meno pesanti, cose da accomodare, vacanze, alberi da potare fra due mesi, piante da riporre fra tre mesi, tutto andava verso il futuro. Al passato non pensava mai allora e il presente se ne andava in un attimo, il futuro invece riempiva tutti i suoi spazi e pensieri.
Finché pensava agli avvenimenti che avevano segnato la sua giornata, riusciva a governare e dirigere i suoi pensieri, appena allentava la sua attenzione, quelli volavano di nuovo in avanti verso il futuro.
Il futuro, ma ce l’aveva lei un futuro?
Cominciò allora a pensare, a programmare, a sistemare tutte le sue cose. Se doveva andarsene, voleva lasciare tutto in ordine e la pioggia di lacrime lavava il suo viso e lavando, portava via o cercava di portare via il male e lei si sentiva sempre più pulita e pronta, pronta per la lotta che l’attendeva.
Quel fazzoletto di cielo sarebbe stata la sua sola compagnia e consolazione, in quel silenzio si sarebbe persa volentieri. Di giorno avrebbe indossato la maschera della donna forte, positiva, ottimista, spensierata. Doveva far vedere ai suoi amori che non c’era niente di cui preoccuparsi e si sarebbe riservata per la sera, quel silenzioso abbandono, quella dolcezza delle lacrime calde e curative che avrebbe diviso solo col suo cielo.
Come si stava bene qui, che pace, che silenzio e poi c’era ancora il grande ombrello aperto, la stagione bella era appena cominciata...
Finché era aperto l’ombrello, non poteva che fare tempo buono.