Controllo 2009
"Deve essere un lavoro infernale il suo: stare a contatto continuamente, a giornate intere, con persone malate, anche gravemente, che chiedono appuntamenti per analisi ed alle quali deve rispondere che c’è posto solo fra mesi e mesi. Veramente pazzesco..." di Marisa Giunti
Sto per festeggiare il settimo anno dopo l’operazione per il tumore al seno.
Ormai devo fare i controlli solo una volta l’anno ma ogni volta il calvario è sempre più lungo e più irto di difficoltà.
Per molti anni bastava una telefonata appena qualche settimana prima del controllo a radioterapia a Careggi e subito avevo l’appuntamento per la mammografia e tutto era semplice, l’orario, il luogo viale Volta o viale Amendola. In tutti e due gli ambulatori tutti erano gentili e sorridenti, non sembrava di essere in luoghi di malattia.
Sono molto esperta di ospedali, li frequento da 62 anni, perché quando avevo 3 anni sono stata colpita da paralisi infantile (come si diceva allora, nel 1946).
Solo gli ambulatori e il personale che ho incontrato per la cura del tumore al seno erano “diversi”: accoglienti e curati i luoghi; sorridente, comprensivo ed efficiente il personale con cui mi sono incontrata.
Ora tutto è cambiato. Già da un paio d’anni. Quest’anno ancora peggio.
Per il 2009 ho l’appuntamento per il controllo a radioterapia a fine aprile. Dopo l’esperienza delle difficoltà incontrate l’anno scorso ho pensato di chiamare il Cup a novembre 2008, pensando che 6 mesi di anticipo sarebbero stati anche troppo abbondanti. Dopo due ore di tentativi, l’operatore del Cup, mi ha detto che il primo posto libero era per il 10 giugno 09 a Borgo San Lorenzo.
La mia reazione è stata il silenzio.
Mi ha chiesto se andava bene.
Ho cercato di mantenere la calma ed ho risposto che non mi andava bene perché avevo il controllo a aprile. Ho cercato, con calma, di tirar fuori la mia disperazione e gli ho chiesto consiglio, addirittura.
Deve essere un lavoro infernale il suo: stare a contatto continuamente, a giornate intere, con persone malate, anche gravemente, che chiedono appuntamenti per analisi ed alle quali deve rispondere che c’è posto solo fra mesi e mesi. Veramente pazzesco.
Mi ha suggerito di riprovare subito ad anno nuovo ed ha cercato di rassicurarmi, ma senza riuscirci, anche perché già altre persone mi avevano parlato di odissee alla ricerca di un’analisi, con liste d’attesa lunghissime.
Visto che per parlare con l’operatore del Cup ci vogliono mattinate intere e soprattutto se desidera questo e quello prema 1, se desidera quell’altro prema 2 e così via fino a prema 9 poi parli con l’operatore, ma ha 8 persone davanti e quindi, nel frattempo, faccia le parole incrociate, il sudoku, l’uncinetto… finalmente quando arriva il tuo turno… non c’è posto che dopo10 mesi e chi sa dove.
Allora ho deciso di provare al Cup di via D’Annunzio, andandoci di persona.
Mattinata piovosa e già uggiosa di suo, quindi non adatta per fare una commissione uggiosa. Ma si deve fare e si farà. Vado. Il dedalo di corridoi è tutto cambiato dalla volta precedente, ci sono i lavori di ristrutturazione in corso. Il rumore del martello pneumatico mi accompagna fino alla porta a vetri scorrevole, chiusa. Sembra una di quelle magiche che si aprono senza nemmeno dire “apriti sesamo”. Mi metto davanti ma resta chiusa. Mi muovo un po’ avanti e indietro per farmi “vedere”. Niente. Alzo un braccio e lo muovo sopra la testa perché qualche volta la fotocellula è tarata per persone alte e quelle basse come me non le “vede”. Niente. A questo punto metto a fuoco cosa c’è al di là del vetro. Tre file di persone sedute che guardano una signora che non sa nemmeno aprire una porta a vetri . Gentilmente qualcuno mi indica di guardare a destra e vedo all’altezza dei miei occhi un bottone rosso di 5-6 cm di diametro che aspetta solo di essere… premuto e tac la porta si apre. Che figuraccia!
Penso che avrei fatto prima a parlare con l’operatore per telefono, ma ormai sono qui.
Prendo il numero e dallo schermo capisco che ho 40 persone davanti .
Mi siedo e prima di decidere come passare il tempo guardo quanti sportelli ci sono. Sei, mi sembrano abbastanza e quindi mi metto a leggere, tanto c’è tempo.
Ho appena aperto il giornale che una ragazza si rivolge a me e mi chiede se sono Marisa. Stupita dico sì e la guardo meglio per vedere se la conosco o la riconosco. È sui 30 anni, poco più alta di me, magra, vestita di scuro, capelli neri lisci lunghetti sulle spalle: una perfetta sconosciuta. Lo capisce dal mio sguardo e mi dice nome e cognome. È una ex alunna della Scuola-Città Pestalozzi che negli anni ‘80 frequentava le medie. Abbiamo vissuto insieme per 4 anni nella scuola a tempo pieno con attività interessanti dentro e fuori scuola, con gite di istruzione lunghe settimane in Italia e in Inghilterra: per me anni interessantissimi professionalmente. Per lei, nei suoi racconti di quella mattina, solo ricordi amari: litigi con i compagni di classe, discordie mai ricomposte, attività inutili e non interessanti e dopo le medie studi faticosi, discussioni e bisticci con la madre. Lavora nel settore della moda di bambini e ragazzi con sua madre: bene il settore di lavoro, male lavorare con la madre. Ancora parole amare. Non ha smesso di parlare un attimo, pronunciando una parola dietro l’altra a velocità sostenuta, come se volesse sfogarsi. Poi è venuto il suo turno ed all’uscita mi ha salutato velocemente e se n’è andata.
Non avevo più voglia di leggere. Ho ripensato al mio lavoro, agli anni passati in classi diverse, con alunni più o meno volenterosi o recalcitranti, alle loro storie. Finalmente è venuto il mio turno e l’impiegata mi ha dato un appuntamento in una data giusta giusta per poi fare il controllo a radioterapia. Quindi tutto sistemato.
Resta l’intreccio fra i pensieri che si accavallano.
È stata una buona idea venire di persona al Cup ho trovato l’appuntamento ed ho incontrato una persona che mi ha fatto ripensare alla scuola e al mio lavoro. L’ho fatto volentieri e con impegno e soprattutto ho imparato molto e molto di quello che ho imparato mi serve anche ora che sono in pensione: curiosità e passione per gli studi più diversi e disponibilità verso le persone.
Oggi, prima settimana di aprile, sono pronta con tutte le analisi richieste ad andare al controllo a radioterapia ma per essere pronta ho dovuto fare numerose telefonate al Cup, andare al Cup, andare a Villa delle rose per la mammografia, andare ad un istituto convenzionato per fare l’ecomammaria, andare a fare l’analisi del sangue: ore, ore e ore di ansie.
Quali ulteriori difficoltà incontrerò l’anno prossimo?
P.S.: oggi 28 aprile 2009 ho fatto il controllo a radioterapia. Sono arrivata presto, non ho dovuto aspettare molto, il medico mi ha detto che va tutto bene. Bene.
Prima di salutarlo gli ho chiesto come fare per prenotare la mammografia dell’anno prossimo. Mi ha dato indicazioni precise. Ho eseguito. Sono andata immediatamente a clinica medica sportello 4, e sono già in lista per la mammografia dell’anno prossimo: mi sembra un miracolo!
Certo il miracolo è avvenuto perché ho fatto una domanda. Ma se la cosa era così semplice perché “il protocollo” che prevede tutto, non dice di dare anche questa informazione?
Mi sono chiesta perché le altre volte non ho fatto la stessa domanda. Secondo me perché ero molto preoccupata del risultato della visita e quando mi dicevano che tutto andava bene, l’unico mio desiderio era fuggire di lì. Forse ora sono un po’ meno in ansia per la visita e soprattutto è aumentato molto lo stress per prenotare gli appuntamenti.
All’inizio la paura era talmente alta che andavo dai medici sempre con amiche perché sapevo che non avrei “capito” niente di quello che mi avrebbero detto. Lo stato d’animo con cui negli anni ho affrontato le fasi di questo percorso di cura è progressivamente migliorato ma resta il fatto che un sottile velo di paura c’è sempre.