Donne in barca
"Arriva l’ora di riporre i remi e di metterci in viaggio verso casa. Con le amiche Romane, al di là della naturale competizione in acqua, si è stabilita in questi giorni una profonda intesa. Cerchiamo di rimandare all’infinito il momento del distacco, parlando dei progetti e degli impegni futuri, poi, a malincuore, prendiamo congedo da Sabaudia e dall’esperienza straordinaria che abbiamo vissuto..." di Emanuela Masolini
Sabaudia 22-23 Luglio 2006: La prima volta
Venerdì 21 luglio.
Sabaudia ci accoglie in una rovente serata d’estate. All’ora di cena ci siamo quasi tutte: Wanda, Susanna 1, Tullia, Francesca, Cristina 1, Grazia, Nicoletta, Elena, Adriana, Cristina 2, Luigia, Deanna, Margherita, ed infine io, Emanuela. L’indomani ci raggiungeranno Anna Teresa e Susanna 2. Arrivate in parte da Firenze, in parte da luoghi di villeggiatura, ci sentiamo come ragazzine in gita scolastica. Quelle di noi che hanno raggiunto Sabaudia con il pullman dei canottieri di Venezia raccontano divertite l’espressione allibita dei giovani atleti della Serenissima quando hanno visto salire sul loro mezzo le dieci donne fiorentine che aspettavano da un’ora sotto il sole. Pazienza ragazzi! Speriamo di avervi dimostrato sul campo, o meglio in acqua, che quel che conta non è l’età ma lo spirito.
In albergo incontriamo la mitica Orlanda, la capitana dell’unico, prima di noi, equipaggio rosa italiano di dragon boat, quello di Roma. È soddisfatta, domani, al campionato nazionale di dragon boat ci sarà una vera gara: le Butterfly rosa di Roma, già vincitrici di gare internazionali, avranno finalmente un avversario “interno”, noi, le neonate Florence Dragon Lady. Orlanda ci osserva, ci valuta, chiede particolari tecnici sul nostro modo di remare. Rispondiamo svagate, ancora non ci siamo calate nello spirito della competizione. Dopo cena usciamo per cercare un po’ di fresco e per visitare la città. Piano piano i nostri discorsi si concentrano su un unico argomento: siamo lì per far cosa? Non certo per allenamento o per far vetrina, alla fine, forse complice l’architettura del luogo, arriva la rivelazione: vogliamo vincere! Finalmente ce lo siamo detto. Francesca, una delle due capovoga, promette che ce la metterà tutta, come quando in Arno ci troviamo davanti una canoa, la frenesia di andarla a prendere! Per molte è una sensazione nuova ed inebriante, in fondo alla lotta ci siamo abituate, con tutto quello che abbiamo passato. L’appuntamento è dunque per l’indomani, alle cinque della sera, a cinco de la tarde.
Sabato 22 Luglio.
La giornata si consuma velocemente fra un tuffo al mare ed il tifo per le squadre dei canottieri di Firenze sulle sponde del lago. Man mano che si avvicina l’ora fatidica la tensione cresce, ci spostiamo da un posto ad un altro sotto il sole implacabile, ci disperdiamo in piccoli gruppi, ci riuniamo di nuovo tutte insieme e le Romane attendono tranquille, in gruppo compatto, all’ombra. Alessandro, il nostro paziente allenatore e nocchiero, ci fa salire in barca per una breve vogata, in modo da farci recuperare un po’ di concentrazione. Ed eccoci finalmente alla partenza, pagaie in acqua, muscoli tesi, ripassiamo mentalmente le consegne: 1) remare con la testa 2) tenere lo sguardo incollato sulla pagaia della compagna che ci precede 3) non tentare neanche con la coda dell’occhio di seguire la barca avversaria. E poi via! Il tamburo che ritma i colpi di pagaia ed il battito dei nostri cuori, il sole, il vento, gli spruzzi d’acqua sollevati dai remi. Mi accorgo di ridere, rido perchè sto facendo quello che nella vita non mi sarei mai sognato di fare. Alessandro ci avverte che siamo al traguardo, smettiamo di remare ed alziamo gli occhi, le Romane sono davanti a noi, abbiamo perso. L’acqua del lago diventa improvvisamente piombo fuso, la delusione si trasmette dal cuore alle membra, ci dirigiamo stancamente verso l’approdo. Le Romane sono lì ad attenderci, ci aiutano ad uscire dalla barca, ci sollevano, quasi, in un abbraccio. Ma sì, dobbiamo essere contente, in fondo abbiamo vinto tutte, per quello che siamo riuscite a fare, nonostante tutto. Ci stringiamo al petto la nostra medaglia, è la medaglia della vita, il premio per la battaglia che abbiamo dovuto sostenere a mani nude contro un terribile nemico.
La cena e il dopocena sono animati da vivaci discussioni di carattere tecnico: come dobbiamo distribuirci in barca, l’importanza della partenza, la necessità di intensificare gli allenamenti.
Alessandro ci ascolta divertito e chiosa: “Adesso siete una squadra vera”.
Domenica 23 luglio.
La domenica mattina, con poche illusioni sull’esito della seconda gara, quella sui 500 metri, ci presentiamo sul lago decise comunque a fare al meglio la nostra parte. Un po’ di stretching, all’ombra degli eucalipti, poi di nuovo in barca, questa volta concentrate, con l’obiettivo di imporre in gara, se non la potenza, almeno lo stile delle nostre falcate. La barca scivola sicura sull’acqua, questa volta stiamo veramente remando a tempo, menti e muscoli all’unisono, non sedici donne ma un corpo unico che avanza armoniosamente. Questo in fondo è il fascino del dragon boat: l’empatia che si realizza tra i membri dell’equipaggio.
Arriva l’ora di riporre i remi e di metterci in viaggio verso casa. Con le amiche Romane, al di là della naturale competizione in acqua, si è stabilita in questi giorni una profonda intesa. Cerchiamo di rimandare all’infinito il momento del distacco, parlando dei progetti e degli impegni futuri, poi, a malincuore, prendiamo congedo da Sabaudia e dall’esperienza straordinaria che abbiamo vissuto.
Ci saranno altri appuntamenti, è solo l’inizio!