Il mio grande dubbio
"In quei momenti è vero tutto sembra confuso, irreale, fuori dalla propria dimensione… tutta la normalità della vita perde in un attimo significato, tutto diventa intrecciato ed annodato come un gomitolo di cui non si riesce a trovare il giusto filo per rimettere ordine, per capire da che parte iniziare. Spesso nella testa c’è un unico pensiero intransigente di volere azzerare e cancellare tutto, ma poi, con il tempo, il desiderio di riprendere in mano la propria vita..." di Lucia Di Matteo
Il raccontarci ci invita a guardare indietro, ma allo stesso tempo si guarda avanti divenendo così itinerario di apprendimento.
Non è mia intenzione cimentarmi in una vera autobiografia: desidero semplicemente raccontare un periodo importante della mia esperienza, della mia vita.
Era il 1984 mio marito dipendente della Telecom fu trasferito d’ufficio da Napoli a Firenze. In quel periodo insegnavo nei corsi di formazione professionale fuori Napoli, precisamente nella zona di Nola. Quei luoghi, in seguito al terremoto del 1980, erano degradati e non sicuri poiché, per carenze di bilancio e per poca cura, non erano stati sottoposti ad un’attenta e necessaria manutenzione dopo l’accaduto, così anche alcune scuole furono dichiarate pericolanti e tutto il personale fu messo a disposizione in attesa di nuovi incarichi.
Fui contenta del trasferimento di mio marito, in questo modo avrei potuto lasciare la città di Napoli che, oltre alle consuete difficoltà di una città particolarmente caotica, si cominciavano ad avvertire i disagi e le problematiche di una città terremotata.
Il mio trasferimento lavorativo fu particolarmente difficile: non vi erano disposizioni tali da potere consentire un trasferimento tra Enti Regionali, dunque dall’Amministrazione Regionale Campana non potevo essere trasferita all’Amministrazione Regionale Toscana. Nonostante questo avevo venduto casa a Napoli e comprato a Firenze, ed i miei figli avevano già iniziato la scuola. Iniziai così a fare la pendolare tra Firenze e Napoli, ero molto stressata: una donna di 42 anni con due bambini di 10 e 8 anni, in una città sconosciuta e con un lavoro a molti chilometri di distanza.
… E il papà di questi bambini? C’era… ed era (e lo è ancora) il classico uomo assente a tutto quello che può essere il “menage” familiare… il classico uomo che si lascia scivolare addosso qualunque cosa senza il minimo coinvolgimento.
Tornavo così a Firenze per svolgere frettolosamente tutte le necessità dei ragazzi che in sostanza erano affidati alla tv, alla nonna ed ad un papà presente, ma sempre e comunque così assente.
Un giorno ero più stressata e depressa del solito; mi accorsi di avere al seno come un durone che mi faceva male, avevo il seno grande e spesso mi faceva male, ma sicuramente questo era un qualcosa di anomalo. È importante ricordare che 1985 per i tumori al seno non c’era una conoscenza così avanzata come lo è oggi, che se ne parla con più consapevolezza. A quel tempo conoscevo un chirurgo dell’ospedale di Careggi, che mi ricevette per un esame più approfondito. Durante quella visita il dottore mi aspirò del liquido che, con grande soddisfazione di entrambi, concluse che non era neanche il caso di esaminarlo perché si presentava limpido. Io non dimenticherò mai la vista di quello zampillo che usciva dalla siringa che poi fu svuotata nel lavandino della stanza dell’ospedale. Il dottore mi disse di stare tranquilla che avrei fatto una radiografia e che mi avrebbe tolto, con un piccolo taglio laterale, questo piccolissimo nodulo che mi dava fastidio.
Le cose non andarono così. Feci la radiografia e solo con questo esame il 25 aprile dell’1985 entrai in ospedale.
La mattina seguente alle 7,30 mi venne iniettata la pre-anestesia e mi portarono in sala operatoria, ma il mio dottore non era ancora arrivato, il reparto era del Prof. T. (andato in pensione dopo pochissimi giorni dal mio intervento). Il Prof. T. mi chiese a quale seno dovevo essere operata, io ero stordita, impaurita, mi sentivo molto sola, come ho detto mio marito assente-presente non mi dava minimamente quella sicurezza o amore che avrei dovuto avere in un momento così particolare e delicato, risposi al professore che era il seno sinistro... e non ricordo più niente.
Sotto l’effetto dell’anestetico, ho avuto la sensazione di percepire che i medici stessero parlando di me, che non era quello il tipo d’intervento che mi doveva essere fatto, ma questa per me è stata solo una percezione e nessuno me ne potrà mai dare conferma o smentita.
Quando iniziai a svegliarmi sentii sul seno sinistro un peso che non mi lasciva respirare e da qui mi resi conto che avevano asportato tutto il seno... avevo punti da dietro alla schiena fino allo sterno.
Non conosco vocaboli che possano esprimere le sensazioni che provai quando presi coscienza di questa mia mutilazione. Quando cominciai ad alzarmi dal letto mi vidi piatta da un lato e mi vergognavo, ma la mia reazione mentale mi diceva che ero viva, avrei dovuto superare tutto per l’amore dei miei bambini che ancora avevano bisogno di me ed erano troppo piccoli, avrei voluto stare con loro ancora qualche anno, non mi importava dell’aspetto fisico perché ero viva. Dovetti aspettare 20 giorni che arrivassero da Milano (non so il perché!) i risultati della biopsia. Ancora oggi, e quindi a distanza di 22 anni mi chiedo perché fu portata a Milano? Perché non c’era la possibilità di fare questa analisi a Firenze? Perché sulla cartella clinica, che è oggi in mio possesso, non ho una diagnosi chiara del mio male e se davvero ho avuto quel male? Perché in un’operazione così radicale non mi hanno “svuotato” l’ascella o il muscolo pettorale? Perché dopo non mi hanno fatto fare cure di alcun genere? È sempre stato un mio dubbio... e sempre lo sarà e, vi assicuro, che è grande! Solo chi ha subito un intervento del genere può veramente capire che la menomazione di una donna avviene anche, e forse soprattutto, a livello psichico.
La protesi esterna mi dava fastidio e mi pesava (come ho detto avevo il seno molto voluminoso) inoltre i miei figli avevano capito il disagio che provavo e, a volte, vedevo in loro imbarazzo. Così iniziai il lungo percorso d’informazione per un’eventuale ricostruzione, infatti non avendo fatto la chemioterapia potevo ricostruirlo anche subito. A quel tempo chiedevano somme che non potevo permettermi, inoltre i medici che consultai non si assumevano alcuna responsabilità sull’esito della ricostruzione. Mi vennero proposte varie soluzioni, ma ero sola anche questa volta e mi era difficile decidere, non avevo un marito con cui poter condividere e prendere una decisione. Credo che la solitudine, specialmente in questi casi, ammazzi più di una malattia, poiché si rimugina il tutto senza potersi confrontare.
Incominciai ad interessarmi e ad informarmi, incontrai la Signora Roberta Ciurekgian, anche lei aveva vissuto la mia esperienza, una donna dinamica e piena di voglia ad aiutare tante altre donne, aveva capito che in queste situazioni particolari è necessaria solidarietà, e non isolarsi, insomma avevo incontrato una persona da imitare. Cominciai così a frequentare il suo gruppo, che avrebbe chiamato in seguito “Donna come prima” in via della Pergola; qui incontrai altre “donne” ed insieme avevamo l’opportunità di confortarci e confrontarci e frequentare insieme la piscina per tenere in allenamento le braccia.
Dopo quasi due anni dall’intervento conobbi il Prof. M. di Pisa che era, ed è, un bravo chirurgo plastico e presi subito appuntamento; non appena vide la mia cartella clinica ed esaminò la situazione mi disse queste testuali parole: “Signora questo è un giallo, lei dormiva ed io non c’ero!”.
Attesi la chiamata dall’ospedale di Pisa e, sebbene questo lasciasse molto ma molto a desiderare (la chirurgia plastica non era ancora così di moda come lo è oggi) il Prof. M. mi diede tanta fiducia e serenità, e ne avevo estremamente bisogno.
La struttura era un vecchio appartamento adibito ad ospedale dove mancavano i più basilari elementi di igiene, ma a me interessava il chirurgo, poiché era stato colui che col suo sorriso e con la sua pazienza mi ha dato la possibilità di superare i due interventi successivi necessari per la totale ricostruzione. Ancora oggi gli sono riconoscente: sono dovuta ritornare da lui 5 anni fa per il cambio della protesi (ma questa volta all’Ospedale di Cisanello... un vero ospedale!) infatti con gli anni si è sempre più perfezionato il tipo di silicone da usare in questi casi.
Tra un’operazione e l’altra continuavo ad andare a Napoli perché, per vari motivi, non potevo permettermi di lasciare il lavoro, ma il motivo principale era che avevo deciso che non appena i ragazzi avessero raggiunto l’autonomia economica avrei scelto la separazione sebbene nel frattempo avessi cercato, per quanto mi era possibile, di salvare il mio matrimonio in quanto credo nella famiglia e, nonostante tutto, amavo mio marito.
Nel 1988 finalmente dopo aver mosso la politica ed i “Santi” ottenni il comando nella Regione Toscana al Servizio Demanio e Patrimonio. Mi fu assegnata la gestione degli immobili della Regione Toscana un lavoro totalmente nuovo per me, ma ebbi la fortuna di incontrare una collega, che poi è diventata la Dirigente del servizio, con la quale oltre a lavorare insieme, mi ha sempre dato tanta fiducia e serenità permettendomi quindi di lavorare veramente con piacere. Siamo col tempo diventate amiche con la “A” maiuscola, mi ha aiutata a superare alcuni momenti fondamentali della mia vita (avrei da dire ancora tanto ma lo farò in un altro momento).
Trascorrevano comunque i momenti, le ore, che si trasformarono poi in giorni e finalmente in anni, dalla mia malattia. Questo mi rasserenava l’animo, tranquillizzava la mia mente ed allontanava in me il pensiero e la paura della possibilità dell’eventuale ritorno del male. Stavo tornando ad essere forte.
Come mi ero proposta infatti non appena i ragazzi si inserirono nel mondo del lavoro lasciai mio marito. Oggi sono in pensione. Ho la mia piccola e amata casa che considero come la mia seconda pelle. Ho 64 anni e sono serena. Ho rincontrato qualche signora dei tempi del 1985.
Ogni volta che ripenso a quel periodo della vita ho il cuore in subbuglio, avevo 42 anni ero disponibile a credere in positivo, avevo voglia di progettare ero un vero vulcano. Rispetto ad allora, sebbene molti avvenimenti siano accaduti, e nonostante tutto, non sono una donna così diversa da allora…
In quei momenti è vero tutto sembra confuso, irreale, fuori dalla propria dimensione… tutta la normalità della vita perde in un attimo significato, tutto diventa intrecciato ed annodato come un gomitolo di cui non si riesce a trovare il giusto filo per rimettere ordine, per capire da che parte iniziare. Spesso nella testa c’è un unico pensiero intransigente di volere azzerare e cancellare tutto, ma poi, con il tempo, il desiderio di riprendere in mano la propria vita, di tornare ad essere “padrone di sé” prende il sopravvento.
Il tempo, solo questo concetto e solo questa parola riesce a spiegare quanto i minuti, le ore ed i giorni diventino per le donne mastectomizzate, per noi donne mastectomizzate, come un fiume in piena, che riesce a trascinare con la sua forza e la sua potenza tutto quello che circonda. Il trascorrere del tempo infatti riesce a restituire una nuova vita, regalare una rinascita, dimostrando soprattutto a noi stesse, ma anche a chi amiamo, quanto sia forte la volontà di volere ricominciare, con maggiore vigore e forza, dal punto in cui si è stati costretti a lasciare.
In alcuni momenti ho sentito come se la mia nuova vita uscisse da me, prepotentemente, come se in quel momento io fossi solo un contenitore.
Sono fermamente convinta che la vera cura per sé stessi sia riuscire a fare pace con la propria memoria, lasciando emergere e vivere il presente, lasciando che il passato si acquieti, accresciuto di questa esperienza. Forse solo così si può tornare pienamente alla vita, vivendola forse in modo più profondo perché adesso quell’ “Io” tessitore è più vigile, perché ha imparato a convivere con un’esperienza che adesso è inscindibilmente parte di sé.
Vorrei poter dimostrare oggi, attraverso la mia esperienza, che quando casca una tegola come questa, la cosa più importate è circondarsi di affetto e di persone che già hanno attraversato questa esperienza negativa, e lasciarsi aiutare a superare i lunghi momenti difficili, per ritornare di nuovo sé stesse.
La Villa delle Rose a distanza di 22 anni mi sta dando ancora questa possibilità… Grazie!