Sono in pensione

"Un giorno, infine, la scoperta del tumore, accolto come una cosa aspettata, un inquilino scomodo ma quasi necessario per costringermi a fare quello scatto verso una maggiore consapevolezza. Questo nuovo dolore non sapevo dove mi avrebbe portato, abituata come ero a pensare prima agli altri che a me stessa..." di Laura Casati

 

“Sono in pensione e posso così aver più tempo per me”: questo era stato il primo pensiero che avevo avuto tre anni fa, quando era arrivata la tanto sospirata pensione.

Però c’era un però, cosa significava, che senso aveva: “per me”? Non far niente mi metteva paura, ero a disagio - Cosa mi piace fare mi chiedevo? Boh! Mi rispondevo, devo pensarci.

Mi chiedevo: “ma io amo la vita? Apprezzo una bella giornata di sole, una passeggiata all’aria aperta?”. Forse si, ma non mi riempivano, non dissetavano la mia sete, la mia insoddisfazione di quei momenti.

Un giorno, infine, la scoperta del tumore, accolto come una cosa aspettata, un inquilino scomodo ma quasi necessario per costringermi a fare quello scatto verso una maggiore consapevolezza. Questo nuovo dolore non sapevo dove mi avrebbe portato, abituata come ero a pensare prima agli altri che a me stessa. Oggi a quasi due anni dalla scoperta dell’intruso posso dire che mi ha portato a varcare la soglia ed ad abbattere quel muro che mi ha permesso di ritrovare la vecchissima Laura, quella bimba che si era persa poco prima dell’adolescenza. Avevo fra nove e i dieci anni quando dal sonno in una notte buia ero stata svegliata da quei lamenti, da quelle grida. Erano i miei genitori nella camera accanto. La mia mente era stata invasa da paura, panico, cosa stava succedendo? Mio padre stava facendo del male alla mamma? Oppure era un gioco dal quale ero esclusa? Cosa fare? Andare ad aiutare la mamma oppure stare ferma, zitta, capire, coprirmi il capo con le coperte, con il cuscino, per non sentire? Optai per la seconda soluzione.

Rimase in me però la paura e divenne un problema prendere sonno la sera, poi nella mia mente si insinuò l’ossessione che la mamma fosse in pericolo. Così, tornavo da scuola, ogni giorno. Ero ancora alle elementari, facendo le scale di corsa con l’ansia che mio padre potesse fare del male alla mamma: che l’uccidesse. La mamma aveva bisogno di me, dovevo crescere in fretta perché le esigenze e le necessità me lo imponevano. Dovevo prendermi cura di mia sorella più piccola, dovevo pensare alla casa, molto spesso la mamma aveva l’emicrania ed era a letto. Dovevo ascoltare i suoi sfoghi di rabbia verso mio padre. Io invece ero affascinata da mio padre, in quanto era un uomo molto simpatico, estroverso, piaceva a tutti, solo la mamma trovava in lui tanti difetti perché non si sentiva amata abbastanza. Mi sentivo divisa fra questi due grandi affetti.

La mamma era molto possessiva e lo era anche con me, infatti, io ero per lei la sua migliore amica “mi diceva” bastava però che non la contraddicessi e fossi sempre dalla sua parte. Mi sentivo responsabile di tutto quello che le accadeva, quando la vedevo triste escogitavo mille astuzie per farla divertire e vederla sorridere. Per me lei era il mondo avrei dato la mia vita per mia madre. Mio padre invece era un uomo proiettato all’esterno, il lavoro i divertimenti le macchine i motori. Era intelligentissimo proveniva da una famiglia di commercianti di sementa, spezie, coloniali ma purtroppo i miei nonni paterni erano morti quando mio padre aveva sette anni, unico maschio con quattro sorelle, di poco più grandi di lui. Queste ragazzine lo avevano cresciuto e viziato ma lo avevano educato anche alla generosità; egli, infatti, era molto generoso ed aspirava ad avere un figlio maschio. Erano nate, invece, tre femmine, la prima era nata morta, mia sorella più piccola assomigliava molto a mio padre mentre io assomigliavo fisicamente a mia madre e questo mi faceva sentire poco accettata da lui anche se cercavo in tutti i modi di essere come lui avrebbe voluto che fossi economicamente indipendente come erano state le sue sorelle.

Dopo quelle notti di panico ed insonnia, taciuto tutto ai miei genitori, avevo perso il Paradiso terrestre ed ero piombata di colpo nel profondo Inferno, ma questo cambiamento all’inizio non fu notato ed io mi sentivo sempre più sola, nessuno mi capiva ero io che dovevo capire i “grandi”. Così sempre più spesso mi rifugiavo da dei vicini, in quella casa respiravo aria pura, serenità, gioia, accoglienze e tranquillità. Rimase in me, però, quel dolore sordo intenso che si faceva sentire fisicamente in mezzo al petto, questa morsa mi lasciava di rado. Non ero più la stessa, prima ero estroversa, simpatica, interessata al mondo perché mi sentivo amata dal mondo, ora, invece, ero diventata taciturna, seria, triste. Non mi sentivo più amata i “grandi” mi evitavano perché ero scomoda, triste, “una palla”. Anche la mamma non mi amava, pensavo: “sono solo sfruttata da lei per i suoi sfoghi di rabbia”. Si insinuò in me anche la paura di essere diversa dagli altri bambini, di essere una bambina problematica. Questo pensiero mi fece scivolare giù nel buio più profondo fino al crollo psico-fisico. Passarono così, con questi stati d’animo, dai due e i tre anni, ero ormai nell’adolescenza, quando dopo uno svenimento a scuola fui ricoverata all’ospedale, facevo la seconda media, ed avevo circa dodici anni. Il sistema ormonale funzionava male, la tiroide specialmente, gli svenimenti intensificavano la paura di essere malata: pazza. Mi risollevai quando sentii di nuovo mia madre, ma anche mio padre vicini, attenti anche alle mie esigenze.

Quegli anni, ormai, avevano cambiato la mia vita, avevo rinunciato a una parte di me, a quella parte più creativa, più spontanea e divenni come gli altri mi volevano o meglio divenni una persona che non creava più problemi, anzi doveva risolvere i problemi anche agli altri. La parte più razionale aveva preso il sopravvento ero in continua ricerca di qualcosa che saziasse la mia mente, così lo studio e la lettura riuscirono a sollevarmi a ridarmi fiducia, farmi guardare avanti, perché avevano il merito di non farmi sentire “diversa”, ma soprattutto mi distraevano dalle mie paure interne.

Inseguito con questo giochetto ci presi gusto e dimenticai, forse sarebbe più appropriato dire, accantonai quei momenti bui, mi riempivo di cose da fare,di impegni, il lavoro, lo studio e la famiglia. Nella maturità furono le responsabilità che mi stavo assumendo sul lavoro che, pur non dandomi soddisfazione o meglio mi davano solo soddisfazioni momentanee, servirono da anestetico. Stavo perdendo il senso della vita, delle cose. Non avevo più tempo per riflettere per stare con me stessa, con me stessa ci stavo ma solo con una parte. L’altra era relegata in un angolo ogni tanto si faceva sentire creandomi ansia ed insoddisfazione.

Nei momenti più difficili e dolorosi, che purtroppo la vita ci riserva, i nuovi dolori si mischiavano a quel dolore antico, che sapevo esistere e di cui avevo ancora timore.

Così il tumore che avevo fantasticato essere il mezzo per far maturare chi mi stava intorno, che aveva intuito l’esisteva di una parte di me non espressa, è divenuto l’occasione per farmi riabbracciare quella parte che avevo escluso dalla mia vita tanti anni fa e che ora reclamava una integrazione, un suo posto. Con quella piccola Laura ho riabbracciato anche mio padre, mia madre, le zie che facevano parte della famiglia allargata, gli amici di un tempo che tanto sono serviti alla mia evoluzione. Il babbo, morto quando ancora io non avevo trenta anni, con il quale non c’era stato molto dialogo da piccola, negli ultimi anni della sua vita mi fece capire e mi espresse la sua stima e il suo amore, forse aveva capito solo allora il valore della famiglia. Con mia madre c’era sempre stato un dialogo continuo, ultimamente nel ricordarla mi è rinata per lei tanta tenerezza, infondo l’ho amata da sempre.

Mentre scrivo penso al momento che sto vivendo, momento particolare: immagini vecchie e nuove si sovrappongono nella mia mente. Pensieri vecchi, ricordi vecchi si rinnovano, come se ci fosse nella mia mente una piscina purificatrice nella quale si tuffano figure note e mitiche che riemergono con altra energia dentro, con altro vigore. Sembra quasi che il mondo che mi circonda assuma significati diversi, tutto si colora di altre tinte, tutto si muove al ritmo di altre sinfonie più armoniose meno tristi e malinconiche. Questo periodo è stato preceduto da due sogni significativi. Il primo sogno l’ho chiamato il “sogno dei cani”. Devo premettere che amo gli animali, i gatti specialmente, dei cani ho timore essendo stata morsa da piccola. Una notte ho sognato tre cani vecchi su una panchina in un parco che giocavano tranquilli, mi sembravano felici, mi sono meravigliata che non litigassero. Uno di essi mi è venuto incontro e mi ha leccato tutta una parte del viso. È stata una sensazione piacevole, è come se mi fossi riconciliata con una parte di me stessa, la mattina successiva mi sono svegliata molto bene con una strana contentezza e soddisfazione. L’altro sogno, avuto pochi giorni dopo è stato quello che ho denominato della “pappa”- Ho sognato che mi trovavo in un bellissimo casolare di campagna, forse la casa dei miei nonni materni restaurata, ho visto mia madre che cucinava la pappa col pomodoro. Gli ho chiesto dove aveva trovato il pane, mi ha risposto nella dispensa, mi ha detto che era un pane tutto confezionato, integro anche se aveva la scadenza 2007. È arrivato anche mio padre e tutti e tre abbiamo assaggiato la pappa e ci siamo meravigliati di quanto fosse buona nonostante che il panne fosse scaduto. Nel 2007 è morta mia madre. Anche questo sogno mi ha infuso tanta serenità.

È stato bello anche se doloroso ricordare i miei e me stessa in quel periodo tumultuoso, ma è stata anche l’occasione per risentire mio padre e mia madre positivamente vicini e per ritrovare una parte di me. Oggi, vivo come se fossi in viaggio, o meglio in cammino perché sto andando lentamente, verso una maggiore consapevolezza ed accettazione dei miei ed altrui limiti. Ho imparato a stare sul divano e non far nulla senza per questo sentirmi in colpa; ora non corro più, osservo, sto acquistando un certo gusto estetico che credevo di un avere.

Non sono più la salvatrice della mamma e del mondo, come ho cercato di fare, inconsapevolmente per tanti anni anche con altre persone, ora mi sento più umana, più vera anche se meno perfetta.