Tradimenti e malattia
"Diario di una sopravvissuta a cui hanno sperimentato per la prima volta la chemioterapia nel lontano 1971 alla Maternità di Careggi dal prof. C. e prof. C. nel reparto di Ginecologia del prof. O. Non ringrazierò mai abbastanza la loro professionalità ma soprattutto l’umanità che hanno avuto..." di Giovanna Bartolozzi
(1970-72)
Diario di una sopravvissuta a cui hanno sperimentato per la prima volta la chemioterapia nel lontano 1971 alla Maternità di Careggi dal prof. C. e prof. C. nel reparto di Ginecologia del prof. O. Non ringrazierò mai abbastanza la loro professionalità ma soprattutto l’umanità che hanno avuto.
... La vita scorre come al solito e per cercare di avere più soldi (ne dava così pochi per la casa e per i figli), decisi di andare a lavorare part-time da una mia amica la quale aveva aperto un negozio di profumerie e bigiotteria in centro; mi piaceva stare al pubblico, riuscivo a stabilire un contatto con le clienti le quali mi prendevano in simpatia. Potevo avere tempo per andare qualche volta a prendere i bambini a scuola, Franco non c’era mai in casa e la sera ero sfinita; mi rimproverava sempre di non amarlo perché magari la notte non facevo all’amore, lui voleva essere il centro delle mie attenzioni e mi metteva in croce. Dopo un anno di questo tira e molla decisi di rinunciare al lavoro. Pensavo che dedicandomi di più a lui decidesse di stare più vicino ai figli e alle esigenze della famiglia ma non fu così.
Ebbi un emorragia e mi fecero un raschiamento, dopo alcuni mesi sono daccapo, dicono che ho un polipo e lo asportano.
Ricominciai a lavorare ma erano ricominciate le emorragie e dovetti lasciare il lavoro, passai un anno più negli ospedali che a casa tra un raschiamento e un altro. Ricordo con dolore quando tornavo a casa e pretendeva di fare all’amore anche se era passato pochi giorni dall’intervento. Si lo facevo, una volta avemmo come al solito un rapporto piuttosto intenso, ad un certo punto mi prese la paura di perderlo, guardai il viso che amavo, gli occhi persi nell’amore, amore? Che ironia, solo soddisfazione del suo venire e del suo egoismo, ma che specie d’amore era quello? Sinceramente non lo sapevo.
In un anno faccio quattro raschiamenti, l’ultimo mi ripresero appena in tempo. Avevamo messo la tenda a giugno,come tutti gli anni a Talamone per fare campeggio, io e i miei due figli piccoli, mio marito veniva spesso i fine settimana. L ‘anno era stato molto difficile per me e avrei voluto che mi stesse vicino ma come al solito mio marito va via il giorno dopo (lui dice per lavoro), a Firenze. Dopo tre giorni mi sento male, rincomincia l’ennesima emorragia, è già la terza quest’anno, non voglio spaventare i ragazzi e chiedo ad una coppia di Terni con cui avevamo fatto amicizia, se mi portano al pronto soccorso di Orbetello dove mi fanno un iniezione per arrestarla; dicono, che sarebbe meglio che tornassi a Firenze. Gli amici si prestano e raccolto il necessario spiego ai figli che dobbiamo tornare a casa. Il viaggio è lungo ma finalmente si arriva a casa verso le 23, saluto gli amici, dico che sto meglio e che senz’altro Franco è su che dorme, prendiamo l’ascensore, apro ma lui non c’è, sento che riprendo a sanguinare forte, per fortuna al pronto soccorso di Orbetello mi avevano dato un’altra iniezione che sapevo fare. Metto i bambini a letto, li assicuro che il padre tornerà presto e vado sul letto molto preoccupata sperando che lui torni presto, spesso era fuori Firenze per lavoro, o almeno così diceva, stranamente non dubitavo perché con me era sempre affettuoso e passionale, ma quella volta non mi aveva avvertito, speravo che tornasse per decidere cosa fare per me. Il tempo passa ma lui non torna, mi addormento, arriva la mattina e non è tornato; telefono ai vari amici, ma lui non si trova. Decido di portare i ragazzi da mia madre perché sento che il sangue è copioso e non riesco a fermarlo, in quel momento sento aprire la porta, è lui strabiliato di vederci, si giustifica dicendo che era stato chiamato per lavoro fuori Firenze, sto troppo male per indagare oltre e lo prego di accompagnarmi all’ospedale. Il medico che mi visita e che ormai mi conosce bene mi chiede perché sono così pallida, appena mi mette la mano dentro non può ritirarla e grida che si prepari d’urgenza la sala operatoria, non ho paura, sono lucida e come in trance.
Ennesimo raschiamento ma questa volta decidono di indagare più a fondo, le analisi non sono chiare, mi dicono che ho rischiato grosso e devono operare, ho i globuli rossi bassissimi, per riprendermi mi fanno svariate trasfusioni. L’equipe medica mi avverte che probabilmente ho un tumore, se è maligno o no lo vedranno solo aprendomi perché è molto in alto, così mi operano.
(Foglietto ritrovato). Sono sveglia, il mondo è solo dolore, accanto a me il volto caro di mia sorella che mi ha fatto la nottata. Le ore passano lente, vedo l’uniforme bianca dell’infermiera che si avvicina, mi dà sollievo vederla, so che mi farà la puntura per alleviare il dolore e per alcune ore starò meglio. Voglio tornare a casa dai ragazzi, da mio marito, aiutami ti prego, lo vedo piangere. Dio perché nemmeno ora mi aiuti, perché! La mia vicina di letto è stata operata come me ma sta morendo, la sua pancia ha generato non più figli ma cavoli neri contorti (così si sono espressi i medici), il tumore le ha preso il sopravvento, e a me? La domanda mi frulla nella mente ma sono ottimista, ho voglia di lottare.
I medici hanno dovuto togliere ovaie e utero per preservarmi la vita dato che il tumore era maligno e sparso molto in alto. Si parla di chemioterapia ma in Italia ancora non c’è, un amico medico che conosceva bene l’allora ministro della sanità, d’accordo con l’equipe medica dell’ospedale, decidono di importarla attraverso il Vaticano con l’aiuto del ministro suo amico e di provarla su di me. Comincia per me il calvario per fare la cura, torno a casa poi di nuovo in ospedale, mi fanno l’iniezione di chemio e di nuovo a casa, ho in continuazione la nausea, vomito, e di nuovo in ospedale per la cura, ma se ho le piastrine basse devo rimandare e di nuovo la chemio, così per mesi, dico basta, non ne voglio più sapere di ospedali e medici. Franco si appoggia sempre più a me, i ragazzi pure, li amo tutti, spesso mi perdo, sono stanca!
Questa è la mia storia, vera in ogni dettaglio. Mi avevano dato 6 mesi di vita ed ora eccomi qua a raccontarla per tutte voi alla tenera età di 75 anni!