Trasformazioni

“Mamma, ma poi ritorni come prima, vero?” “Certo, amore mio!” mi sono affrettata a rispondere per rassicurarti, tu che col tuo sguardo mi dicevi che avevi già capito tutto mentre ti spiegavo il mio imminente ricovero...." di Laura Tinti

Luglio 2005 / Luglio 2010

Trasformazioni

 

Anno 2005: la festa per i miei cinquant’anni; Lavinia ne compie dieci; la sua Prima Comunione; l’auto nuova, la prima della mia vita essendomi sempre accontentata di auto di seconda mano; il tumore... Chiudo il mio diario, non è necessario sfogliarne le pagine. Ricordi, emozioni, sensazioni sono tutte presenti in me, affatto sbiadite, anzi con quella nitidezza e forza oggettiva che solo il passar del tempo può dare.

 

23 luglio 2005 - Che caldo! Afa incredibile. Appena rientrata dall’ufficio, senza nessuna voglia di pranzare, accendo la TV per le notizie del telegiornale. Lavinia e mia madre combattono l’afa di questo pomeriggio d’estate bighellonando l’una, dormicchiando l’altra, ciascuna nella propria stanza. Scorrono le immagini strazianti dell’attentato terroristico di Sharm el-Sheikh: morti,volti straziati, grida, macerie. Le braccia conserte e le mani sui seni, atteggiamento per me abituale; terrore e sgomento per quella tragedia. Improvvisamente la mano destra appoggiata sul seno sinistro ha un sussulto: si ferma, palpa “Cos’è?”... E la bomba esplode dentro di me.

 

28 luglio 2005 - Sala d’attesa dello studio medico dove, grazie all’aiuto di Dario, sono riuscita in pochissimi giorni ad avere l’appuntamento per un esame ecografico. Non riesco a pensare a niente, o meglio, c’è solo paura. Accanto a me una giovane mamma in attesa, bella e orgogliosa del suo pancione e il ricordo corre subito al “mio”pancione, dieci anni fa. “Sono due gemelli, tutto bene!” esclama soddisfatta dopo l’esame. “Lei gioisce - penso - io invece cosa proverò, come mi sentirò quando uscirò da quella stanza?”. “Signora Tinti...” chiama la segretaria. La gentilezza del medico non riesce a nascondere la sua preoccupazione. “Fuma, signora? Ha avuto figli? Ha allattato? Ancora un po’ di pazienza...”. Eseguo con precisione i suoi ordini, voltando il viso per non incontrare il suo sguardo e soprattutto per piangere con me stessa: è già tutto chiaro, ho già capito. Il

suo tono vuole essere rassicurante e il mondo, in quel preciso istante, crolla intorno a me.

 

5-8 agosto 2005 - Gli esiti degli esami successivi sono incontrovertibili: tumore maligno. Solo un’immagine nella mia testa: il mio funerale; solo una sensazione: morte; sì, sono già morta prima di affrontare la situazione. Disperazione, lacrime senza fine, di nascosto perchè non voglio che Lavinia mi veda in questo stato. Dolore, indescrivibile, per tutto, e più forte del dolore di lasciare questa vita è il dolore di lasciare sola Lavinia, l’unica mia preoccupazione è per lei. “È ancora troppo piccola, Signore deve compiere dieci anni, ha ancora bisogno di me, ed io di lei…”. E una mattina, guardandomi allo specchio, scatta in me una forza nuova, quella stessa forza che ho sentito di avere accettando la mia maternità di single. Lavinia è la mia forza, io devo vivere per lei; non posso lasciarla cosi piccola, devo combattere perché non voglio privarmi di vivere con lei e per lei, fosse anche soltanto per pochi mesi.

 

11 agosto 2005 - Ricorrenza della Liberazione di Firenze. Un diluvio mai visto, con sassi di ghiaccio che piovevano dal cielo, ha lasciato un’atmosfera di distruzione ferendo case, raccolti, cose: distruzione ora come allora, ma la distruzione che ho dentro non ha paragoni con quella, pur eccezionale, fotografata oggi dai nostri occhi.

 

17 agosto 2005 - Consulto medico a Careggi, finalmente! Oltre a Franca, mia cognata, mi accompagna Dario e siamo soli lui ed io nel momento della visita. “Mastectomia e ricostruzione con

lembo miocutaneo di muscolo gran dorsale…” “Scusi Professore, non sarebbe opportuno...” interloquisce gentilmente Dario. “No, date retta a me...” risponde altrettanto decisamente l’altro, declinando con dovizia tutti i motivi a sostegno della propria diagnosi. Sento spiegazioni, assisto a descrizioni dettagliate dell’intervento; poi altri medici, altre acquisizioni su tutto quello che può succedere o capitare in casi del genere. Non mi viene risparmiato niente, anche se a fin di bene. “È il prezzo di avere un camice bianco accanto” è il commento di Dario. Sei ore di completo stravolgimento, con visioni del mio corpo tagliato, ricucito, menomato… Ma adesso che respiro all’aria aperta, ho paura del mondo fuori, vorrei tornare in ospedale perché li mi proteggono e mi curano...

 

Fine agosto 2005 - In previsione dell’imminente intervento, breve vacanza a Castiglione della Pescaia, con mia madre che non ha voluto lasciarmi sola, Stefano, Gabriella, Silvia e Lavinia, super contenta di trascorrere la sua prima vacanza in compagnia della cuginetta adorata. Giornate stupende dipinte di azzurro e di sole, ma la bellezza di questi luoghi tanto cari e amati perché carichi dei ricordi dell’adolescenza e della giovinezza, non riesce a placare la tempesta del mio cuore. Ho paura che il mare mi inghiottisca, in un grande buco nero. Guardo con gli occhi velati di pianto Lavinia correre, giocare, ridere con Silvia e la stretta al cuore diventa insopportabile. “Stringi

i denti Laura, non mollare, non puoi, per Lavinia e per te”.

 

4 Ottobre 2005 - Ci siamo, finalmente, Dio sia lodato, è il giorno dell’intervento. Sono la prima della lista perchè il mio “è un intervento molto delicato, complesso e complicato”, come ha detto ieri un medico alla propria paziente, mia compagna di camera, giustamente desiderosa di conoscere tempi e programmi del fatidico giorno. Le infermiere sono puntualissime e del resto anch’io perché al loro arrivo sono già pronta. Varchiamo la porta della camera, poi quella del corridoio in fondo al reparto; fuori c’è lo sguardo premuroso di Andrea, mio fratello, che mi aspetta e mi dà il buongiorno. “Laura che ci fai qui?”. Il mio sguardo incrocia improvvisamente quello di Massimo, un mio collega, lì per una visita della moglie. Scoppio a piangere a dirotto, non ho detto niente al lavoro, tranne che ai miei superiori e a due colleghi, intimi amici, pregando tutti di mantenere il silenzio fino ad intervento avvenuto. L’ascensore, poi un lungo corridoio, un altro ed un altro ancora: si apre una porta e con un sorriso la barelliera mi consegna al personale della sala operatoria. L’anestesista è gentilissimo, il suo tono di voce basso e pacato e rassicurante e dà tranquillità. “Sono le 8 e 15, Dario non è ancora arrivato - penso - ma arriverà in tempo, ne sono sicura… Il traffico, e poi non è mai puntuale…”. I miei occhi cadono sul crocifisso sulla parete di fronte, in alto “Sono nelle tue braccia”. Si apre la porta: Dario mi sorride, mi accarezza il viso e mi bacia sulla fronte sussurrandomi “Tranquilla”. Sì, sono tranquilla, ecco, adesso sono pronta, e i miei occhi si abbandonano ad un sonno profondo.

A distanza di tempo posso dire di aver dato risposta alla domanda più volte ripetuta sul senso di quell’amore tanto meraviglioso perché davvero profondo, quanto assurdo perché senza futuro.

Quando davo alla luce Lavinia non c’era nessun compagno al mio fianco, solo la presenza femminile della sorellanza e della solidarietà; ma in quel momento davo la vita; adesso la mia vita era in pericolo e il dono di quell’amore grande, di amico, compagno, amante, marito era il sostegno per sorreggermi e aiutarmi a combattere la battaglia più grande, quella appunto di non perdere la mia vita.

 

Novembre 2005 - Controllo dal Professore. Un’agitazione incontrollabile si è impadronita di me e, nonostante il mio comportamento forzatamente normale, traspare dallo sguardo preoccupato e interrogativo e dai lineamenti del volto particolarmente tirati. Saprò anche l’esito degli esami istologici seguiti all’intervento.”Tanti auguri, signora, stia tranquilla; adesso si rilassi, faccia un bel viaggio, si coccoli…” è il saluto cordiale del Professore. C’è Franca fuori ad attendermi, le vado incontro, l’abbraccio scoppiando in un pianto di gioia irrefrenabile, sì di gioia. “È G1, il tumore è sensibile ai recettori ormonali, non dovrò fare radio, sì, la chemio ma solo quattro sedute...”. Franca piange con me. La mia contentezza è al settimo cielo, mi sento una miracolata. Certo, com’è assurda a volte la vita: piangere di gioia perché il tuo tumore è solo Gi…!

 

7 dicembre 2005 - Prima seduta di chemioterapia. Al reparto mi accolgono con affabilità e gentilezza: i gesti pacati e i sorrisi del personale riescono a far sentire familiare quel luogo che pur trasuda di sofferenza e di dolore. È il mio turno, scelgo la mia postazione, una poltrona vicino alla finestra. “Preoccupata?” domanda l’infermiera. “Un po’…” rispondo, mentre osservo ogni fase del trattamento che mi viene cortesemente spiegata. Accidenti, ti pareva andasse liscio, sempre complicate le cose per me: le vene del mio braccio sono piccole, troppo piccole, non si trovano e chissà se resisteranno alla terapia, è pericoloso… Il ritornello accompagnerà immancabilmente ogni seduta successiva, con toni sempre più accentuati, aumentando di conseguenza la mia ansia ad ogni appuntamento. Soluzione: mettere il porter; si, no,altalena di decisioni e ripensamenti terminata con un mio “no” che mi fa diventare “la signora che ha rifiutato il porter”. Guardo fuori della finestra: è una bellissima giornata invernale, tersa e splendente di luce. Sospiro e penso che il mondo, la natura, la vita, tutto è tremendamente e immensamente bello. La “rossa”, così in gergo la terapia cui sono sottoposta, entra nelle mie vene: guardo, strana sensazione di repulsione, di avversione che non ho provato neppure nei confronti dell’intervento. Perché mi dà fastidio? È per il mio bene… Sì, ma nell’intervento si toglieva; adesso anche se per cura è come se si iniettasse del veleno nel mio corpo. Ho voglia di vomitare e questa sensazione me la porterò dietro per tanto tempo, per anni, ogni volta che pensavo alla”rossa”. Cambio del turno degli infermieri; la nuova infermiera viene informata dettagliatamente di ogni cosa, anche delle mie vene non all’altezza della situazione (ed io sono all’altezza?), tanto che scherzosamente si augura di non essere in servizio per la prossima seduta.

Senso di colpa per questo corpo che non è come dovrebbe essere. Gli occhi di Lisa, l’infermiera più anziana che ho scoperto essere originaria di un paese vicino al mio, mi accarezzano con dolcezza e saggezza “Non ci pensare adesso, sono solo quattro sedute ed una è già andata”. Il giorno dopo ho fiacca nelle gambe, la testa vuota, un frastornamento da ubriacatura, ma sto in piedi e faccio quel che c’è da fare, anzi decido anche di andare al concerto che il coro di cui faccio parte ha in programma. “Sono forte - mi dico - ce la faccio”. Beh, ero e sarei stata forte anche successivamente, ma non al punto di non accusare i colpi della “rossa”.

 

Primavera 2006 - Ho finito la chemioterapia e mi sento liberata. Adesso comincia la “mia”cura. È appena iniziata la primavera che, piena di rinascita e di rinnovamento, invita ad uscire. Ed io accolgo con gioia l’invito, nonostante le forze scarse. Lunghe passeggiate, al mattino e tardo pomeriggio, per luoghi, sentieri, boschi, campi che conosco fin da bambina e che adesso riscopro e faccio miei. Sento che mi fa bene camminare nella natura, riesco a sentire, cosa mai provata prima, il peso dei miei piedi sulla terra e da questo contatto una energia che sale per tutto il corpo; mi immerge nel verde dei prati; ammiro le piante vestite di nuovo; mi inebrio dei profumi e degli odori; guardo l’azzurro del cielo e mi lascio penetrare dalla luce e dal calore del sole. Strano, è come se vedessi e sentissi tutto questo per la prima volta, e anche la sensazione di meraviglia e di felicità di fronte allo spettacolo di straordinaria bellezza pur tante volte ammirato ha un sapore nuovo.

Ascolto il ritmo della natura, del vento, del canto degli uccelli, delle foglie che stormiscono leggere; ascolto anche il mio corpo e col ritmo della natura, trovo il mio ritmo, il mio respiro: senso di apertura contro chiusura, leggerezza contro pesantezza, lentezza contro velocità.

Ogni giorno lo stesso rituale e ogni giorno con le forze aumenta la percezione di sé e si rafforza la sensibilità. Io sono questa terra, questo albero, questa luce. Mai come adesso “mi sento” e mai come

adesso ho provato il gusto della vita; sì, il gusto, come se addentassi una grossa mela succosa, la mordessi con avidità... È una vertigine, quasi senso di onnipotenza: se dare la vita è sicuramente la cosa più straordinaria per l’essere umano, allora darsi la vita, ri-nascere, è ancor più esaltante perché non altri, ma tu sei il vero e unico protagonista.

 

Autunno 2006 - Devo tornare a lavorare, come faccio, non posso stare ancora a casa, ci sono tanti impegni, tanti progetti da portare avanti, c’è scarsa disponibilità di personale... No, non ce la faccio, non me la sento. La razionalità si scontra con l’emotività, la testa dice una cosa, il cuore sente altro e il contrasto genera ansia, inquietudine. Basta con questo “dovere”, io non “devo” niente, in questo momento ho un unico dovere, questo si vitale e non procrastinabile: “devo volere bene a me stessa”.

 

7 gennaio 2007 - Ripresa del lavoro. Saluti, sorrisi, abbracci, baci. La mia scrivania stracolma di carte, come al solito. Niente è cambiato, sembra che il tempo si sia fermato. Ma non è così per me; il tempo è passato, eccome! Mi sembra di essere lontana anni luce da ciò che mi circonda, in un altro tempo e in altro spazio, “oltre” rispetto alla posizione di chi mi sta di fronte. Come se i miei occhi vedessero in maniera diversa, più in là; come se il mio corpo sentisse in maniera diversa, più in profondità. Di fronte alla velocità e all’affanno che segnano la quotidianità sorrido con sincera compassione, sapendo l’infondatezza di quella condizione e riconoscendo che altro è importante.

Sensazione di “estraneità” anche se non sono affatto estranea a ciò che faccio, che cresce ogni giorno di più. Sapevo che sarebbe stato difficile il ritorno alla “normalità”, ma è questa la normalità? No, non la mia, non più. Trovare la giusta modalità per non farsi sopraffare, soffocare e quindi morire non è semplice, ma vitale più che mai. Ho bisogno di nutrire la mia anima, per conoscermi ancora meglio, per rafforzarmi ed essere in grado di r-esistere.

Villa Le rose. Uno spazio per me non solo fisico ma interiore, di libertà e respiro. La musica e l’arte, accompagnati dalla pratica yoga da tempo seguita, diventano gli strumenti per continuare il mio cammino aiutandomi ad acquisire una maggiore consapevolezza e forza che mi permette di trovare un certo “equilibrio”, se non armonia perfetta, tra me e gli altri, tra me e il mondo.

Incontri. Ho nuove amiche, prima compagne di viaggio e dopo anche amiche e sorelle, strette da un legame molto forte anche se non vissuto quotidianamente. Basta uno sguardo per comunicare e i silenzi, a volte, valgono più di mille discorsi. Le parole chiave del nostro stare insieme: accettazione, ascolto, disponibilità. Alice, Anna, Carla, Deborah, Franca, Gianna e Marina, le mie “stelle” e io altrettanto per loro.

 

23 luglio 2010 - “Mamma, ma poi ritorni come prima, vero?” “Certo, amore mio!” mi sono affrettata a rispondere per rassicurarti, tu che col tuo sguardo mi dicevi che avevi già capito tutto mentre ti spiegavo il mio imminente ricovero. Ti guardo mentre dormi, qui nella tua stanza per darti il bacio della buonanotte e, soprattutto, parlarti un po’ perché sono convinta che mi senti anche nel sonno, e dirti il mio amore, come ogni sera da quando sei nata. Sono come prima? O sono cambiata…? Certo che sono come prima, ho le stesse gambe, braccia, occhi; la stessa passione per cappelli e orecchini; lo stesso amore per libri, musica, teatro, cinema e l’arte nel suo significato più ampio; faccio sempre parte del coro; lavoro sempre in Comune... Però ho i capelli corti; chi l’avrebbe mai detto, io che li ho portati sempre lunghi... Non avrei mai pensato di tagliarli; ed ora, con tuo grande disappunto, non ho la minima intenzione di farli allungare, anzi, corti, sempre più corti e sbarazzini. Lo so, disattendo i tuoi desideri, ma a me piacciono cosi, e mi piaccio così... Le esperienze forti, sia positive che negative, affinano la sensibilità e rafforzano. Ho imparato ad ascoltare me stessa e non solo gli altri, a volermi bene, a coccolarmi, a prendermi cura di me: questo corpo, prima mai considerato degno di attenzione, ed ora ferito è il “mio” corpo, ed ha valore per questo. Riconosco, tuttavia, che non è sempre del tutto naturale o scontato per me aderire a quell’assunto di primaria importanza; la mia capacità di sopportazione al dolore è molto alta, come diceva Maria,la fisioterapista, meravigliata della mia resistenza alle sue torture. Quindi il rischio è quello di tirare, tirare e ancora tirare fino a che la corda si spezza... Ma la vigilanza e l’attenzione perchè ciò non avvenga è sicuramente più elevata di prima. Nei momenti delicati e di maggior frizione un campanello interno suona, mi avverte “Laura attenta, fermati, questo ti fa male”. E non si deve soffrire, non e giusto soffrire, l’obbligo più grande che abbiamo nei confronti di noi stessi è quello di stare e vivere bene. Perché la vita è un dono, un bene prezioso, immenso e non possiamo permetterci la stupidità di sprecare anche la più piccola, insignificante occasione che ci offre. Sarei presuntuosa se dicessi di aver risolto tutto, di aver capito tutto; la perfezione non è caratteristica umana. Però, senza alterigia o vanto, posso dire che Laura adesso, grazie anche ad una esperienza dolorosissima e difficilissima, ha acquisito maggiore consapevolezza di sé, Laura “sente” e sa chi è Laura.

Paura? Certo, come non averne; i controlli fortunatamente fino ad oggi sono andati bene, ma... ma non ci voglio pensare, sarà quel che sarà, adesso sono qui. Nel caso malaugurato di una ricaduta chiederei al Cielo non cinque anni, bensì quindici, venti e più ancora perché tu hai bisogno di me ed io di te. Abbi sempre cura di te, bambina mia, non lasciarti mai andare perché, ricorda, c’è sempre una possibilità; non dimenticare mai te stessa in ogni momento ed in ogni cosa che fai. Ma più di ogni altra cosa, ti prego, non farti mai prendere dalla tristezza, quella tristezza che fa affondare nella palude il cavallino Artax in “La storia infinita”, ricordi?

Buonanotte, tesoro mio grande, dormi tranquilla, la mamma è con te…