E' bello averti conosciuto
"Mi hai asciugato le lacrime della fatica e del dolore.
Mi hai riscaldato il cuore quando la paura gli toglieva forza e coraggio e lo rendeva freddo e insensibile.
Mi hai aperto lo stomaco, che riempito dai farmaci pesanti e svuotato dall’angoscia opprimente, si rivoltava disgustato..." di Iliana Parenti
È bello averti conosciuto.
Avere fatto insieme un tratto di strada, averne in parte condiviso dossi e cunette, affrontato le salite obbligate e atteso le discese tanto desiderate.
A te il cammino è stato molto duro, anch’io ne ho sperimentato le difficoltà.
Ci siamo date la mano per superare il dislivello quando improvviso si presentava davanti… talvolta me l’hai offerta tu, altre volte ti ho sostenuta io, bastone l’una dell’altra, precario, ma sempre pronto a risollevarsi, attento a non inciampare fra i sassi e le nuove buche.
Mi hai asciugato le lacrime della fatica e del dolore.
Mi hai riscaldato il cuore quando la paura gli toglieva forza e coraggio e lo rendeva freddo e insensibile.
Mi hai aperto lo stomaco, che riempito dai farmaci pesanti e svuotato dall’angoscia opprimente, si rivoltava disgustato.
Ho cercato di fare altrettanto per te.
Ti ho incontrata un pomeriggio grigio di novembre.
Due letti, due poltrone, due sedie e un piccolo tavolo, due comodini, l’armadio, una parete finestrata, unico accesso all’esterno attraverso dei vetri mai aperti, una porta per il bagno ed un’altra, quella di ingresso, che, una volta dentro, non potevi sapere quando si sarebbe di nuovo aperta per te.
Dietro avevi lasciato il mondo, soprattutto il tuo mondo.
Sei entrata in quella stanza bianca sterile a riempire il letto accanto al mio, allontanata dai tuoi affetti e privata delle cose a te care.
Di quel poco che avevi con te è passato solo lo stretto necessario, scrupolosamente igienizzato.
Non molto tempo prima anch’io avevo osservato quella procedura con la stessa disperazione che ora leggevo in te e che mi faceva stare tremendamente male...
Perché io già sapevo...
Questo era solo l’inizio, conoscevo bene l’iter che ti attendeva...
Non si entra in quelle stanze per semplici esami, il ricovero non é mai breve, il medico non nasconderà niente e fra poco ti renderai conto che non sarà più come prima, la diagnosi arriverà presto...
Eccola: leucemia mieloide acuta.
Anche per te.
Per te, una bella donna, quarantenne, alta, fisico longilineo, capelli sulle spalle, “due giorni fa ero in palestra!”, una camicia da notte molto fine che rendeva onore a un bel décolleté, maniche aderenti rifinite con un volant ai polsi, un tocco di femminilità, leggermente fasciante ai fianchi, lana leggera color avorio, più adatta a una bella camera d’albergo che ad un ospedale, bracciale d’oro, non so come ti fosse stato concesso, non avevi avuto il tempo di toglierlo tanta era stata la fretta del ricovero, piccoli segni che parlavano della tua provenienza sociale, di te persona benestante e raffinata.
Ti muovevi nella stanza con la disinvoltura di una signora ed eri bella, proprio bella...
“Lei può essere malata?”
Invece sembravi grave... i giorni seguenti fu tutto un via vai, ora una boccia di sodio ora un’altra di potassio e lavaggi del sangue e radiografie e eco e tac... ti facevi fare tutto e intanto chiedevi risposte ai numerosi naturali perché...
E quando rimanevamo sole i tuoi bellissimi occhi scuri diventavano lucidi e davi sfogo al pianto.
“Vorrei fare come te, ma non ci riesco... tu vivi ogni evento come la normalità: mangi, dormi, guardi la tv... io a casa ho tre figli, la più grande ha quindici anni, è in un’età difficile, il secondo ha appena iniziato la prima media, sai nuova scuola, nuove amicizie, e poi la gelosia per il fratellino, perché lui l’ha sentita proprio la nascita dell’ultimo arrivato, che è anche lui un maschio, di cinque anni, tutti hanno bisogno di me... io sono una mamma molto presente, ho lasciato il lavoro per la famiglia”.
“Anch’io ho due figlie... la mia seconda ha solo un anno meno della tua, ha appena iniziato le superiori, pensa che il suo primo giorno di scuola al liceo ha segnato anche il mio ingresso in ospedale, ci siamo salutate proprio al suo rientro a casa... l’ho rivista dopo quaranta giorni”.
Mi guardasti esterrefatta e interrogativa.
“Non c’è niente di normale qua dentro, io guardo te e vedo me... i tuoi dubbi sono i miei, le tue domande sono la copia di quelle che io ho già rivolto, ogni tua preoccupazione risveglia in me emozioni a fatica controllate... Credo comunque sia il momento di essere un po’ egoisti, perché non ci è concesso disperdere energie, ce ne verranno richieste tante... altri penseranno ad altri... chi abbiamo lasciato a casa vuole il nostro sorriso... dobbiamo lottare, per noi, per loro...”
Ti alzasti da letto e mi mostrasti la foto dei tuoi figli: belli come la mamma e biondi come il babbo, uno scatto in spiaggia, l’immagine di una famiglia serena.
La nostra conoscenza era avviata, così.
Pochi giorni dopo io lasciavo la stanza, un’infezione mi vietava il contatto con altri pazienti e imponeva il mio allontanamento, che fu immediato.
Non ci fu neppure il tempo di scambiarsi un saluto né il numero di cellulare.
Il nostro percorso continuava su strade diverse: io in isolamento a malattie infettive fino a Natale... tu a ematologia in quella stanza...
Il febbraio dell’anno successivo, al mio terzo ciclo di chemioterapia, l’infermiera, la Simonetta, guida il carrello con i miei indumenti e mi introduce nella stanza 16, la solita...
“Ancora questa! E ancora il letto vicino alla finestra!”
“Sì, è rimasto libero quello.“
“Mi fa piacere, da qui posso vedere il verde degli alberi e i colori del cielo... e la mattina la luce illumina il mio corpo e mi riscalda... sono coccole per me, mi fanno sentire meno sola.”
“Ciao, ti aspettavo.”
Riconosco la voce... tutta raccolta sotto la coperta, solo la testa fuori, mi sorridi.
Sei diversa... è incredibile come la malattia ci renda tutte uguali, capo rapato, faccia a luna piena, colorito spento… i tuoi occhi però, neri, sempre belli, dicono ancora tanto...
Parliamo, non saprei dire chi comincia per prima... tu stanca e con la febbre, io con un forte dolore allo stomaco... tanta voglia di raccontarci...
In un paio d’ore attraversano quella stanza gli ultimi mesi della nostra malattia e nei giorni successivi le nostre vite: confessioni intime senza vergogna e senza pudori, una bella partecipazione e condivisione di affetti e di sentimenti… empatia… Amicizia.
Il nostro isolamento si popola di persone, luoghi, oggetti... la tua famiglia, i miei cari, la tua casa, il mio paese, i tuoi film, le mie letture, il nostro vissuto... esperienze diverse, opinioni scambiate, pensieri e fantasie a confronto, pianto e riso: cose impensabili in una qualunque altra situazione fra estranei, così naturali per noi.
A tu per tu con la malattia, facciamo in modo di non esserne sopraffatte, attivando risorse che non sapevamo di possedere e reinventandoci anche un po’...
Io leggo molto, e poi riassumo, commento, ascolto musica, magari l’opera, impegnativa per me che non la frequento abitualmente, con libretto alla mano, è il mio modo di concentrarmi. per non pensare... faccio progetti, ho paura di non avere il tempo per realizzarli, così, quando ce la faccio a stare seduta, riprendo al pc il lavoro sulle tradizioni popolari, abbandonato troppo tempo fa... studio come colorare le pareti di casa, sono così neutre... sfoglio una rivista geografica, c’è una guida di Parigi, chissà se potrò mai andarci, è tanto che penso a questo viaggio... quante volte ho detto no, perché i figli erano piccoli, per paura di lasciarli, perché “ora non è il momento ci sono troppe spese”...
Ma quando è il momento? Quanto poco tempo mi sono dedicata! Quante volte abbiamo accantonato, rimandato… già i doveri quotidiani!... e intanto si sprecano spazi preziosi... e ora quella paura, comune ad entrambe... ne rimarranno...?
Tu vuoi rifare i divani, mi chiedi consiglio sulle stoffe, intanto hai fatto togliere di giro tutti i tappeti, sì la polvere, ma poi quello orientale, bello ma il disegno ti aveva sempre messo uno strano timore, era proprio ora di metterlo via... vuoi fare cambiamenti anche alla casa al mare, guardi già all’estate, quest’anno niente sole... pianifichi le giornate per tutta la famiglia: a tuo marito ricordi di comprare il costume di carnevale per il piccolino “vedi te da Zorro o da cowboy” e di parlare con l’insegnante di musica dell’altro che ha trattato male il prof. perché gli ha chiesto della situazione della madre, proprio in classe davanti ai compagni, “Ma si facesse un po’ gli affari suoi”... chiami il nonno, deve accompagnare il ragazzo a calcio, e la tata, per sapere della bimba, che sì è grande e più autonoma, ma non va trascurata, questa cosa della mamma non l’ha digerita e poi il sabato sera esce con la macchinina, quella che si guida senza patente, regalo del nonno, “Lo so che l’ha fatto per coccolarla un po’, ma come fa una mamma a stare tranquilla!”
Non ce la fai proprio a distaccarti, neanche un po’.
Ognuna di noi cerca, a suo modo, di riempire questo isolamento, ma qui il tuo diventa un po’ mio e sento che il mio è anche tuo, insieme a dividere paure e risultati, e alla fine ognuna per sé “perché ogni percorso è comunque diverso, perché non devi accrescere il tuo stress con quello dell’altro”, ma è legittimo attaccarsi ai successi e soffrire delle cadute di chi ti è accanto.
Due storie, le nostre, di fronte al male, con la medesima aspettativa: farcela...
Entrambe fiduciose, comunque e sempre, nella medicina, ma anche con quella voglia di crederci che ti porta ad attaccarti a tutto... alla Fede, che tu soprattutto andavi consolidando “la lucidità è un’arma a doppio taglio, affidiamoci, regaliamoci la speranza e crediamo nella misericordia di nostro Signore, Lui può tutto”.
... Sono ancora moglie e mamma, curo la casa e il giardino, cucino per gli amici e da poco ho anche ripreso il lavoro... le mie cose, quelle di ieri, e altre, nuove...
Mi piace passeggiare nella mia campagna, cammino per il sentiero lungo il torrente, guardo di fronte a me il colle di Buggiano con le sue case rosse e la rocca e il verde argenteo degli olivi stagliarsi in mezzo al colore intorno più scuro dei monti, percepisco i profumi della primavera e accolgo il silenzio, che mi lascia pensare... apprezzo queste offerte della natura e tutto quello che ho, mi sembra davvero tanto, mi reputo una donna fortunata.
Sono consapevole che tutto questo non sarà per sempre ma è così bello viverlo... perché questo tempo e questo spazio che ci è, che mi è concesso, ora so che è una grande opportunità.
… e da lontano, costantemente presente, la tua voce rafforza il mio pensiero e mi invita a continuare a credere.
Grazie