Carissimo

"Questo è tutto, ho vissuto minuto dopo minuto l’attesa di una tua visita e la sera che mi telefonasti mi aiutasti a risollevarmi dall’ennesima crisi. Il pensiero di te mi ha fatto tornare fra i vivi, a desiderare di combattere e di voler guarire ad ogni costo..." di Luisa Goggioli Manetti

“Agosto 1980”

Carissimo,

ho tentato più volte di dirti, di raccontarti a voce quello che mi è successo in quei terribili giorni dello scorso maggio, ma un nodo alla gola me lo ha sempre impedito. Forse ti sono sembrata una donna ansiosa di accaparrarsi un uomo o una persona isterica, ma credo fermamente di non essere così.

Premesso questo, ti ricorderai certamente il mio ricovero urgente in ospedale e l’attesa della sentenza che poteva benissimo essere verdetto di morte. Non ti puoi immaginare cosa ho vissuto in quelle mura e quante volte ho percorso i lunghi corridoi in attesa di qualcuno che mi dicesse ”morrai o vivrai”.

Quindici anni fa ho vissuto l’esperienza atroce della sorella di mia madre che è morta di cancro al seno dopo due anni di sofferenze e perciò nessuno poteva illudermi o nascondermi a cosa sarei andata incontro nel caso d’esito positivo.

Ritornando a me stessa ed a quell’attesa ho percorso a grandi passi chilometri di corridoio e sono caduta più volte in crisi tale da desiderare la morte come unica liberazione dall’angoscia e dal terrore di quella sentenza. È arrivato così il giorno dell’intervento e dopo essere stata oltremodo fuori di me ho cominciato a cercare qualcosa che mi facesse desiderare di vivere. Mi sembrava di essere caduta in un abisso fra lastre di ghiaccio insormontabili fra pareti così alte tali da non permettermi la risalita.

Sono andata sempre più giù fino a che ho cominciato ad analizzare per quale persona o cosa avrei potuto desiderare di vivere. Ho passato in rassegna tutti i miei familiari, i vecchi e i nuovi amici, i conoscenti, ho ricordato l’unico uomo che ho amato, ma non sono riuscita ad aggrapparmi a nessuno, ognuno mi scivolava via dalla mente come non fosse abbastanza forte per aiutarmi a risalire la china.

Non so dirti come a questo punto sei spuntato te, visto due volte e irrazionalmente ho cominciato a ripetermi:”Devi vivere, devi vivere per lui”.

Con questo pensiero in cuore sono entrata in sala operatoria quasi serena e pronta ad accettare tutto quello che sarebbe accaduto.

Non è stato un risveglio vero e proprio, ma un dormiveglia, un rifiuto a svegliarmi per non guardare in faccia la realtà e non sentirmi dire la verità.

Una Dottoressa mi ha scosso dicendomi: “ Si svegli, lei non avrà più problemi”.

Il dolore fisico e l’atmosfera intorno mi dicevano però che qualcosa di grave era successo al mio corpo e che qualcosa era rimasto sul banco del chirurgo. Qualcosa che per una donna è insieme orgoglio e segno del proprio stato di femminilità.

È stato a questo punto che un familiare mi ha parlato della tua visita e dell’interessamento mentre ero ancora sotto anestesia. Ho accettato le tue seguenti visite come una benedizione, ma posso assicurarti che mi sono rifiutata di pensare a te come uomo, perché io non mi sentivo più donna.

Questo è durato fino alla tua successiva visita e da allora non ho resistito alla debolezza di pensarti, di cullarti nel mio bisogno di persona ammalata che ha bisogno d’amore per risollevarsi dall’angoscia.

Questo è tutto, ho vissuto minuto dopo minuto l’attesa di una tua visita e la sera che mi telefonasti mi aiutasti a risollevarmi dall’ennesima crisi. Il pensiero di te mi ha fatto tornare fra i vivi, a desiderare di combattere e di voler guarire ad ogni costo.

L’ora del ritorno a casa è giunta gradita, ma sono state molto lunghe le giornate della convalescenza, poi dal momento che stavo male e non ero abbastanza forte volevo rimandare il più tardi possibile il nostro prossimo incontro.

È venuto finalmente il momento di rivederti e io sono sicura che hai letto nei miei occhi tutto quello che avevo vissuto perché ti ho visto impaurito e sfuggente. Me lo hai fatto capire ed io ho reagito o con un nodo alla gola o ferendoti in modo ingiusto. Credo di essere riuscita più volte a dare il peggio di me.

Adesso ho ritrovato in parte il mio equilibrio ed a questo punto, devi stare tranquillo, non ti inseguirò, voglio solo amicizia da te, perché non ho altro che da ringraziarti per ciò che hai fatto per me. Anche le schermaglie, le tue continue fughe mi hanno fatto dimenticare ciò che mi era successo

Ho ripreso tutte le mie facoltà, il lavoro e penso di poter camminare anche da sola, sempre con l’aiuto di Dio e la vicinanza di persone amiche.

Scusami se mi sono dilungata ma è venuto il momento di dirti ciò che non riuscivo a dirti a voce: grazie di cuore del tuo aiuto con gli auguri più sinceri per quella felicità alla quale giustamente anche tu aspiri.

Ti abbraccio

 

P.S. Sono trascorsi 28 anni da quel tempo e ricordo con grande piacere che nell’ottobre dello stesso anno incontrai un altro uomo che non ebbe paura, mi accettò per quello che ero e che poi diventò mio marito. A lui devo un grande sentito ringraziamento per avermi dato quell’amore e quella serenità di cui avevo bisogno Ringrazio Dio perché quell’amore e quella serenità durano ancora…