Mancavano pochi giorni

"Da quel momento la sua vita e quella della nostra famiglia non sarebbe stata più la stessa. Tutto fu organizzato nel più breve tempo possibile, mia zia lavorava in ospedale e consapevole della gravità e dell’urgenza ci dette una mano. Mia madre aveva 34 anni e col tumore al seno allora si moriva..." di Elisabetta Carnasciali

 

Mancavano pochi giorni a Natale e le cose da fare erano veramente tante. Le paghe anticipate agli operai, i biglietti degli auguri, il pranzo della festa con le zie che arrivavano da Firenze… Si parlava di queste cose quella sera a cena quando mia madre emise un forte urlo di dolore e velocemente liberò la mammella dagli abiti nell’istinto di vedere cosa la stesse capitando e nella palpazione si accorse della presenza di un grosso nodulo. Da quel momento la sua vita e quella della nostra famiglia non sarebbe stata più la stessa. Tutto fu organizzato nel più breve tempo possibile, mia zia lavorava in ospedale e consapevole della gravità e dell’urgenza ci dette una mano. Mia madre aveva 34 anni e col tumore al seno allora si moriva. Di quei giorni ricordo la cappa di angoscia che piombò sulla nostra vita, i pigiami di cotone verde e rosa che una cara amica fece in fretta e furia per i giorni in ospedale, il ricovero proprio il giorno dopo la Befana e poi mia madre tutta fasciata e quelle interminabili ore passate ad aspettare mio padre al bar sotto l’ospedale, perché ero troppo piccola per salire a trovarla tutte le volte. Ricordo il bicchiere di latte che la proprietaria del bar, a conoscenza del nostro dramma, mi dava da bere se mio padre tardava troppo, l’ansia soffocante che lui mi dimenticasse lì. Sentivo parlare di tante cose, ma il mio unico pensiero era di riavere la mamma a casa, lei poteva risolvere tutto e riorganizzare la nostra vita. Nel pomeriggio andavo a fare i compiti da una bravissima maestra che aveva tanta pazienza con me, ma ancora oggi credo che le mie difficoltà con la matematica siano iniziate in quel periodo. Non capivo le preoccupazioni degli adulti, in fondo se non potevo più avere un fratellino potevo sposarmi e avere io tanti bambini e se nel petto della mamma c’era un grande vuoto potevamo riempirlo con un asciugamano.

Le cose però sono andate diversamente. Io non ho avuto figli e soprattutto dopo il tanto atteso ritorno a casa iniziò il calvario delle quaranta sedute di radioterapia e il problema della protesi: all’epoca in commercio si trovavano solo protesi in gommapiuma da inserire in una tasca di stoffa da applicare al reggiseno, ma erano un vero tormento perché salivano e scendevano vistosamente ad ogni piccolo movimento delle braccia. La Ditta Pinucci le fece arrivare dalla Germania le prime protesi al silicone, la situazione per mia madre migliorò, ma quanto sudore e quanto prurito in estate! E poi il braccio gonfio, la paura degli insetti, la ricerca degli abiti adatti a nascondere la mancanza della muscolatura ascellare, ma… tutto questo era niente di fronte alla paura di non saper gestire il vuoto interiore creato da un’esperienza di dolore così intensa! Per mia madre c’era soprattutto la difficoltà di far accettare alla sua mente di donna giovane e bella un corpo martoriato e devastato dalle amputazioni e dalle cicatrici. Tante cose poi l’ho capite col tempo, col mio matrimonio.

 

Mia madre è morta a 48 anni, per metastasi ossee: non è stato il tumore ad ucciderla, ma la solitudine della sua anima.