Sulla stessa barca

"Sono una delle tante “donne in rosa” del Florence Dragon Lady di Firenze. Insieme ci alleniamo sull’Arno con grande determinazione, in vista delle tante manifestazioni e gare a cui siamo invitate e alle quali partecipiamo sempre con passione. Il nostro obbiettivo è quello di divertirci e insieme di divulgare al meglio il nostro messaggio di speranza..." di Paola Calamandrei

Sono una delle tante “donne in rosa” del Florence Dragon Lady di Firenze.

Insieme ci alleniamo sull’Arno con grande determinazione, in vista delle tante manifestazioni e gare a cui siamo invitate e alle quali partecipiamo sempre con passione. Il nostro obbiettivo è quello di divertirci e insieme di divulgare al meglio il nostro messaggio di speranza, testimoniando la nostra grande voglia di “rivivere” serenamente e anche sportivamente, dopo l’esperienza della malattia.

Quando sono arrivata nel gruppo, nel dicembre 2007, sono stata accolta dalla domanda: “Vieni a Venezia alla Vogalonga?” prima ancora di essere montata sul dragone, aver capito di cosa si trattasse e se fossi in grado di farlo. Confesso che sul momento non sapevo nemmeno di cosa si stesse parlando, ma mi è parso bello che già si facessero progetti per me, senza nemmeno conoscermi. E mi sono sentita subito a mio agio.

Adesso, dopo un anno e mezzo, so che fra tutte le manifestazioni, quella che scandisce il nostro tempo, di anno in anno, e che attendiamo con trepidazione, è sicuramente la Vogalonga di Venezia. Sappiamo essere un impegno non indifferente perché si tratta di pagaiare per 18 chilometri, dei 30 totali della manifestazione; non ci sono limiti di tempo, possiamo prendercela comoda, ma non arrivare quando tutti i giochi sono fatti, perché nessuno ci accoglierebbe al traguardo non permettendo la divulgazione del nostro messaggio principale.

Anche quest’anno l’organizzazione della partecipazione alla regata è stata lunga e articolata: sarebbero montate insieme a noi anche donne francesi, americane e inglesi a formare due equipaggi variegati, ma decisi a mettercela tutta per fare un percorso decoroso. Sistemate negli alloggi, decise le postazioni di ognuna di noi sulle barche per il giorno dopo, abbiamo partecipato al convegno “Forza in Venice, vogare per emozionare il corpo e l’anima” organizzato dall’A.V.A.P.O. (Associazione Volontari Assistenti Pazienti Oncologi) con il patrocinio della Regione Veneto, la Provincia di Venezia, la Città di Venezia, l’Assessorato allo Sport del Comune e della Provincia di Venezia, la RSC Bucintoro e Canoa Republic. A questo bellissimo evento, svoltosi nel pomeriggio del 30 maggio, hanno partecipato e portato la loro testimonianza tutti gli equipaggi di “donne in rosa” che vogano sul dragon boat in moltissimi paesi del mondo; erano presenti le canadesi, le australiane, le americane, le francesi e tutte le squadre italiane: Firenze, Roma, Cagliari, Catania e non ultima quella di Venezia che si sta formando in questo periodo. Dopo il convegno, la cerimonia dei fiori per commemorare Orlanda e Margherita che ci hanno “lasciate”… a proseguire il cammino da loro iniziato. Non si può descrivere, o meglio, io non sono capace di descrivere le migliaia di petali di rose di tutti i colori che cadevano dal Rialto su un dragone con equipaggio delle varie squadre e una canoa polinesiana di donne in rosa. La folla e le emozioni hanno fatto il resto; lo spirito che si respirava era sì di cordoglio e di rimpianto, ma anche di serenità, tanto che alcuni passanti ignari hanno supposto si trattasse di un matrimonio. La serata è terminata con una meravigliosa cena svoltasi nel chiostro del palazzo del Telecom Future Centre, dove sono continuati i contatti fra le donne in rosa, gli scambi di piccoli ricordini, e canti a squarciagola. Siamo andate a dormire emozionate, contente, soddisfatte, appagate e intrepide per quello che ci aspettava il giorno dopo.

Ed eccoci al 31 maggio, giorno della 35° Vogalonga.

Al mattino l’atmosfera era più frizzante del solito: la levataccia alle 5.45, la colazione improvvisata e soprattutto un vento gelido e insistente ci hanno infreddolite già prima della partenza; eravamo indecise su cosa indossare, ma poi la temperatura ci ha spinte a metterci addosso quasi tutto quello che avevamo: pantaloncini, magliette, tute, giacche a vento, per ripararci dal quel ventaccio che poi abbiamo saputo essere la Bora. Dopo un riscaldamento che si è rivelato sommario, in quanto il freddo non ci passava, ci siamo apprestate a montare sulle barche. Eravamo a Sacca Fisola e ci siamo avviate verso il Bacino di S. Marco per arrivare al punto di ritrovo per la partenza, con il fatidico sparo del cannone che la annuncia a tutta la città. L’anno scorso ce lo eravamo perso, arrivando in ritardo, ma quest’anno non doveva succedere!

Già dai primi minuti ci siamo accorte che il vento ci avrebbe dato veramente fastidio perché faceva molto freddo e soprattutto perché l’acqua era veramente agitata. Non ci siamo abituate: l’Arno è generalmente tranquillo e se c’è troppa piena non ci alleniamo perché sarebbe pericoloso. Ma in questa occasione… dovevamo andare! Traversare il Canale della Giudecca è stato impegnativo perché le onde arrivavano da tutte le parti, lasciandoci senza respiro e costringendoci a pagaiare senza un attimo di tregua. Arrivati al bacino di S. Marco lo spettacolo delle migliaia di imbarcazioni che aspettano il segnale del cannone è impareggiabile! Per la 35° Vogalonga erano presente circa 1600 imbarcazioni delle più disparate, variegate e colorate, compresa la nostra con una tamburina agghindata con boa rosa e cappello di rete rosa con fiori, più la decorazione del “batacchio” con strisce di raso rosa. E intanto ci incitava con il suo solito fervore! E noi dai, dai, dai… ce la mettevamo tutta.

L’inizio di un percorso è sempre eccezionalmente travolgente e questo non è stato da meno. In mezzo a centinaia di imbarcazioni che lottavano contro le avversità atmosferiche ci sentivamo protette, quasi spinte dal detto “Mal comune, mezzo gaudio”… eppur bisogna andare! Per un po’ abbiamo visto anche l’altro nostro dragone, ma poi ci siamo perse… solo contatti telefonici...

Arrivati ad un certo punto abbiamo individuato il dragone delle canadesi che indossano magliette a righe bianche e rosa e un cappellino riconoscibile anche da molto lontano. Erano accostate alla riva e stavano per immettersi in un canale di Venezia; abbiamo capito che non ce la facevano e si apprestavano ad entrare in città in un luogo riparato. Noi intanto andavamo avanti, anche perché fermarsi era quasi impossibile, fra il vento, le imbarcazioni e le onde che ci incalzavano non avevamo scampo, non c’era alternativa se non proseguire nonostante tutto! Arrivati al punto in cui di solito noi “tagliamo il percorso” per arrivare direttamente a Murano, senza raggiungere Burano come vorrebbe il percorso “normale”, abbiamo avuto dei problemi al timone… ma non so quali esattamente perché non osavo voltarmi a vedere; era meglio non sapere e seguire le indicazioni del timoniere, il nostro amatissimo Alessandro e della tamburina, la nostra Stefy burlona! Con l’aiuto di una motoscafo di controllo al percorso, che ci ha tenuto la prua per un attimo, tutto è stato sistemato e siamo ripartite. Finalmente, girato l’angolo, un momento di tregua… la laguna era incredibilmente calma, l’acqua piatta, poco vento: ci siamo potute rilassare un momento. Nel frattempo avevamo saputo che anche le romane e l’altro nostro dragone avevano preso un canale per rientrare a Venezia, grazie alla preveggenza e soprattutto all’esperienza dei timonieri veneziani che hanno capito che il tempo si stava mettendo al peggio.

Il tratto che stavamo percorrendo era praticamente di nostro uso esclusivo: nessuno attorno a noi, solo acqua, canne, sabbia, nessun’altra imbarcazione, solo Murano in lontananza. Poco dopo aver ripreso a pagaiare di nuovo ci siamo ritrovate immerse nella bufera di aria e acqua. Non ci mancavano che la terra e il fuoco per completare gli elementi! In quel momento i primi due erano più che sufficienti a tenerci impegnate al massimo. Colpo su colpo, schizzo su schizzo, lamento su lamento siamo approdati anche a Murano, ma ormai dopo un paio d’ore di pagaiate la stanchezza si faceva sentire, soprattutto a causa della bassa temperatura che intorpidiva le membra e per la tensione che ci teneva all’erta e in costante impegno fisico. Avevamo bisogno di andare in bagno e bere qualcosa di caldo, ma anche scendere dalla barca, o meglio arrampicarsi a riva è stata quasi un’impresa! Eravamo da tempo fradice mézze dalla vita in giù e bagnatissime dalla vita in su, ma sgranchirsi le gambe ci ha aiutato un po’ e via… l’impresa riprende.

Superato il canale principale di Murano ci aspettavano ancora diversi chilometri in laguna, aperta, prima di arrivare al canale di Cannareggio ed è stata veramente dura: le intemperie sembravano aumentare di momento in momento, le forze diminuivano e Alessandro continuava ad incitarci a non mollare, a pagaiare, ad andare avanti. Ora eravamo di nuovo in mezzo agli altri, anche se ci siamo tenuti abbastanza al largo, non eravamo più soli ed era già una consolazione! Abbiamo visto imbarcazioni incagliate, equipaggi scesi con i piedi per terra in mezzo comunque all’acqua che cercavano di liberare gli scafi… e intanto andare, su, andare, andare… Forza… Forza… la nostra meta è quella casetta rosa... La vedete? Sì, la vedevamo laggiù lontano, lontano, quasi un miraggio. I contatti telefonici si erano interrotti ed ecco che il mio cellulare comincia a suonare. Mi viene detto di rispondere sperando che siano le altre… invece mia madre… Sempre nel momento sbagliato!

Non so quanto tempo sia passato; so invece che abbastanza spesso eravamo disturbati dalle onde provocate da alcuni motoscafi che incuranti dei divieti, sfrecciavano abbastanza vicini creandoci non pochi problemi, visto che le onde provocate dalla bora erano già sufficienti a renderci la vita difficile. Poco prima di arrivare a Cannareggio qualche onda più grande delle altre ci inzuppa….una di noi perde addirittura la pagaia che vedo allontanarsi alla deriva… voltandomi a seguire la pagaia intravedo un equipaggio in acqua… forse un dragon boat… chissà chi sono… poverini… arrivati fino a qui per finire in acqua! E Alessandro che urla… fischia per incitarci a non mollare, a continuare a pagaiare nonostante tutto, perché è l’unico modo che abbiamo per contrastare gli eventi avversi.

Ad un certo punto una massa d’acqua entra nella barca sul lato destro e io non posso credere che sia vero… Un’altra ondata enorme dalla parte sinistra, la mia! E l’acqua sale, scavalca il bordo e ci invade… guardo avanti… silenzio… guardo avanti e un’ondata assale la prua da destra, poi da sinistra… Alessandro dice “tanto galleggia!” io non capisco il significato di queste parole in questo momento… e Deanna… delicata come sempre… con un filo di voce “Aiuto, qualcuno ci aiuti!”. Ormai niente si può fare per fermare quello che fino ad un attimo fa ci sembrava impossibile, inverosimile. Stiamo andando giù… La nostra timbutambu rimane sullo scanno… Alza la mano alla fronte e va giù insieme al dragone e al tamburo. L’acqua arriva lentamente dalla prua al centro, al retro dove mi trovo io, che osservo questa scena irreale… l’operatore francese cerca di alzare in alto la telecamera e il microfono sperando che qualcuno li raccolga prima di finire in acqua, ma è impossibile… un attimo… e lo scafo si rovescia. Tutte noi finiamo in laguna… Che sollievo… ! L’acqua è calda!... quasi quasi ci rimango! Mi aggrappo allo scafo accanto ad Anna… La pagaia stretta in pugno… non la mollo… la tengo stretta anche se non mi è di nessuna aiuto, anzi… mi intralcia, ma non la mollo. I giubbotti ci aiutano molto… Non ho più visto gli altri… Era come se non fossero stati insieme a me, sulla stessa barca, fino ad un attimo fa! Che scherzi fa l’imprevedibile! Comunque sono tutti lì, come me imbambolati, increduli con le barche che ci passano accanto e non vedono l’ora di infilarsi nel canale, come anche noi avremmo voluto fare… Lì, a non più di 20 metri, ci sarebbe stato l’inizio della riscossa, degli applausi, dell’entusiasmo che ti contagia e ti fa percorrere tutto il Canal Grande senza nemmeno accorgertene. Conosco questa sensazione perché l’anno scorso l’ho provata per la prima volta e ho capito quali miracoli possa fare l’incitamento delle persone, che coraggio e che forza possa infondere. Quest’anno ci dobbiamo accontentare dei soccorsi che ci tirano su in pochi minuti e ci fanno di nuovo sentire il vento gelato e il freddo nelle ossa. Il telefono fa un’ultima vibrazione e si zittisce.

Una volta sulla terra ferma, ci siamo riunite, abbracciate, un po’ arrabbiate perché nessuno voleva portarci a casa, o meglio agli Armeni. Qualcuno ci ha dato del tè caldo e qualche indumento per cambiarci; ma erano pochi! Il soccorso ci ha fornito alcuni teli termici, ma con gli indumenti zuppi servivano solo a ripararci dal vento che imperversava anche a terra: e infine abbiamo capito che non c’era altro da fare che incamminarci e ancora andare, andare, andare questa volta a piedi, fino alla meta: una bella doccia bollente e il calore delle amiche che ci attendevano a braccia aperte.

 

Che bello ritrovarvi tutte quante!

 

L’anno prossimo ci vieni alla vogalonga?

 

Dai! È un’esperienza indimenticabile! Non puoi mancare!